sabato 9 dicembre 2017

Mariangela Corrias, Lo stile relazionale e le barriere comunicative



Tratto da "CARA ADOZIONE", pagine 108-111


“I genitori possono fare molto per sostenere i figli nel corso della vita. E possono iniziare da subito. Attraverso azioni, atteggiamenti, parole, sguardi, o addirittura, talvolta, silenzi, possono aiutare a sbloccare situazioni difficili che potrebbero altrimenti complicarsi.

Adattando lo stile relazionale e la comunicazione alla problematica specifica possono contribuire ad alleggerire e sbloccare situazioni che potrebbero altrimenti diventare di difficile risoluzione.

Alcuni atteggiamenti possono complicare la relazione, creando distanze e aumentando la diffidenza. Talvolta la relazione si blocca nel momento in cui i genitori,magari in assoluta buona fede, o in mancanza di strategie efficaci, attivano comportamenti che diventano,secondo lo psicologo americano Thomas Gordon (1991), vere e proprie barriere comunicative.

Sono atteggiamenti che molte volte vengono messi in atto in assoluta e totale buona fede, senza rendersi conto del potenziale inibente e nocivo sulla relazione. Si utilizzano perché si è abituati, perché l’hanno fatto con noi, perché non si hanno al momento altre risorse, ma su cui occorre riflettere per imparare altre modalità più efficaci e costruttive.

Gordon ha identificato 12 barriere comunicative, e sono le seguenti:

Ordinare, esigere. “Devi ubbidire…”, “Devi fare i compiti”: Risultano efficaci al momento, ma inadeguati nel lungo periodo, perché provocano opposizione e ostilità.

Minacciare. “Se non smetti di fare i capricci, non ti mando ai giardinetti”.”Studia, altrimenti vedrai che bel voto prendi alla verifica”.La paura di una punizione, pur essendo anch’essa funzionale al momento, riduce la fiducia in se stessi e nell’altro ed è totalmente inefficace nel lungo periodo.

Esortare o fare la morale. “Dovresti fare i compiti”,”Il tuo dovere è di andare bene a scuola”. Talvolta noi genitori ci perdiamo in lunghi discorsi che hanno la finalità di spiegare il motivo per cui alcuni comportamenti sono sconvenienti, con il risultato di stancare e annoiare. Dopo un po’, il bambino non ci ascolta più, anche perché spesso già sa che “non si deve…”, ma proprio non è riuscito a fare altrimenti. L’unico risultato sicuro è che aumenta il senso di colpa del bambino.

Consigliare, suggerire, offrire soluzioni già pronte.”Perché non fai così?”,”Sai, al posto tuo farei in questo modo”, “Fai come me, non te la prendere!”. Molte volte, quando si ricevono delle confidenze, l’altro non cerca consigli. Questi, infatti, se non richiesti, hanno solo l’effetto di irritare e di far sentire non capiti, e riducono drasticamente la possibilità che l’altro prosegua e racconti altro. Inoltre, ricevere soluzioni già pronte e confezionate riduce l’autostima e l’autostima porta alla dipendenza e alla sfiducia in se stessi.

Persuadere con argomentazioni logiche. “Vedi, dovresti fare proprio in questo modo perché….”. Argomentare in modo logico quando sono coinvolti i sentimenti fa sentire incompresi e aumenta la distanza relazionale. Sappiamo bene anche noi come talvolta le emozioni o alcune nostre convinzioni ci portino a compiere scelte incongrue, ma che non riusciamo assolutamente a modificare. Sappiamo anche che la convinzione razionale dell’inadeguatezza di alcuni comportamenti talvolta non cambia una virgola nella nostra capacità di modificarli.

Giudicare, disapprovare,criticare. “Non capisco proprio perché ti comporti in questo modo”.”Sei proprio una testa dura”. Sentire che il genitore o l’insegnante ti disprezza è umiliante, porta alla chiusura e ad atteggiamenti di difesa. Se l’altro pensa comunque male di me, perché dovrei cercare di comportarmi bene?Allora tanto vale…

Talvolta minimizziamo l’importanza che certe nostre affermazioni hanno sui nostri figli. Non pensiamo che il figlio possa conservare dentro di sé frasi dette magari in momenti di rabbia o di stanchezza, e possa convincersi di essere non sufficientemente apprezzato, quando invece ha bisogno proprio di fiducia e autostima.

Ridicolizzare, prendere in giro. “Un ragazzino come te che piange in questo modo!”. Offensive e umiliante anch’esse.

Elogiare e fare complimenti esagerati. In asso luta buona fede e con le migliori intenzioni, ma se non corrispondono all’idea che che il bambino ha di sé o sono esagerati possono essere controproducenti o percepiti come falsi.

Interpretare, analizzare, diagnosticare. “Fai così perché sei arrabbiato con lei”, “Ma no, sei solo stanco…”Nostro figlio non ha voglia di essere analizzato, ma solo compreso e di fronte ad un’ interpretazione è facile che si chiuda, sia nel caso l’interpretazione sia corretta, sia nel caso sia sbagliata.

Consolare, minimizzare. “Ma no, macché triste, sei solo stanco!”. “Sì, lo so che ti manca il Vietnam, ma ora sei qui con noi, vedrai che ti passa presto”. Consolare senza ascoltare in maniera adeguata fa sentire l’altro totalmente incompreso. Piuttosto meglio ascoltare in silenzio.

Cambiare argomento. “ora non è il momento”. Talvolta si è di fretta, o si è stanchi, e può capitare di cambiare argomento senza rendersi conto che così facendo si rischia di perdere attimi preziosi che potrebbero non capitare così spesso. Un atteggiamento di questo genere può far passare la voglia di confidarsi e fa sentire non capiti.

Indagare, inquisire. Insistere con le domande per comprendere cosa è successo in classe col compagno, o quale è stato il motivo della lite, magari conclusa, col fratello, fa sentire sotto interrogatorio e rischia di far chiudere a riccio e di far passare la voglia di raccontare. Dobbiamo tener presente che non è sempre necessario sapere tutto e che spesso i ragazzi hanno la capacità di risolvere certe questioni in modo anche migliore di noi, soprattutto se noi genitori non ci mettiamo di mezzo. Inoltre, si corre il rischio di apparire invadenti e far passare la voglia di confidarsi.

Tenere presenti questi atteggiamenti, facili da mettere in atto ma inefficaci dal punto di visa comunicativo, può essere un buon primo passo per imparare a relazionarsi in modo più adeguato e incisivo.
Certo, compito non facile quello del genitore adottivo, che comporta equilibrio e sensibilità, stabilità e comprensione e una solida armonia all’interno della coppia, che deve potersi confrontare, dialogare, mantenendo la compattezza, la solidità e il desiderio di stare insieme, di volerci essere, un’altra volta, l’uno per l’altra.
La coppia, infatti, deve essere solida.”

T.Gordon, Insegnanti efficaci, Giunti, 1991.

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