giovedì 28 marzo 2019

Figli adottivi verso e nell'età adulta


"Mano a mano che ci si avvicina all’età adulta, la condizione adottiva passa sullo sfondo, diventando solo una delle diverse componenti dell’identità; componente che può tornare in primo piano in particolari circostanze o di fronte a eventi che la evocano, diventando occasione per un'ulteriore rielaborazione della propria storia e un conseguente consolidamento dell’identità.
Non sempre però le cose vanno in questo modo.
Non sono pochi i casi in cui la tristezza, la rabbia, la frustrazione, il senso di solitudine che i figli si portano dietro dal passato riemergono rendendo particolarmente difficoltoso il passaggio all’età adulta. Amicizie e relazioni affettive a rischio, interruzione degli studi, mancanza di progetti per il futuro, difficoltà ad inserirsi in un’attività lavorativa, periodi di disagio psichico non sono fenomeni rari negli anni della tarda adolescenza e della prima età adulta di tanti adottati.
Specularmente, anche “fare i genitori” in questa fase di vita dei figli non è facile.  Ci si trova costretti a confrontarsi con un individuo reale spesso molto diverso dall’immagine idealizzata di figlio/a che aveva preceduto la sua adozione e accompagnato come un’ombra la sua crescita, e che ora si scontra definitivamente con una nuova immagine di giovane adulto/a.
Quando poi l’ingresso dei figli nell’età adulta è costellato da rischi importanti che ne minano il benessere presente e futuro, tirarsi gradualmente indietro per trasformarsi in “spettatori partecipi” della loro crescita (è questo il "compito" dei genitori) diventa impossibile: il nucleo familiare può rimanere “congelato” in modalità relazionali distorte, caratterizzate da ripetitive dinamiche conflittuali e/o da uno stato di preoccupazione continua. Oppure i genitori possono sentirsi talmente sconfitti e impotenti da rinunciare a ridefinire il loro ruolo e abbandonare il figlio al suo destino.
Come evitare questi rischi? Come accompagnare i figli nella crescita senza diventare intrusivi, rispettando le loro autonomie ma mantenendo una funzione protettiva fino a quando e laddove sarà necessario? Come coniugare tutto questo con la necessità dei genitori di riappropriarsi di se stessi  come adulti capaci di fare nuovi progetti su di sé, progetti che prescindono dal doversi occupare di un figlio bisognoso?
Anche di questo parleremo nel Seminario per genitori di sabato 13 aprile a Genova.
Trovate sul mio Blog personale altri approfondimenti sull’argomento. 
Ci sono ancora posti disponibili. Trovate sul mio Sito le modalità per iscrivervi". 

Livia Botta


martedì 19 marzo 2019

Parliamo di adozione:dieci anni di esperienze





Sintesi degli interventi


Presentazione
Spazioadozione si costituisce in associazione nel marzo del 2011 per iniziativa di un gruppo di genitori adottivi  già da diversi anni impegnati nella realizzazione di una rete di sostegno di auto mutuo aiuto. 
L'associazione è nata per rispondere al bisogno di condivisione di sempre più genitori adottivi confrontati con situazioni complesse; per acquisire maggiore consapevolezza delle tematiche adottive;  per dare voce e spazio ai bisogni dei genitori e dei loro figli. Il mondo dell’adozione è cambiato rispetto a 20/30 anni fa: oggi le coppie sono formate (18 ore nel pre adozione e 12 ore nel post adozione); possono reperire in rete moltissime informazioni e testimonianze e hanno accesso a una vasta letteratura sull’argomento. Termini come “teoria dell’attaccamento”,“trauma dell'abbandono, “ferita primaria”, “resilienza” erano a noi sconosciuti. Ciò nonostante ancora oggi si parla di adozione secondo clichés e immagini devianti, ecco perché è importante avere un'associazione che parla di adozione  e ne  promuove la cultura.

Dove si trova oggi l’adozione: quadro giuridico e cambiamento di modello
Come tutto, anche il mondo dell’adozione è in mutamento; l’adozione di oggi non è quella di 30 anni fa. L’adozione si teneva segreta, vi era rottura con il passato, si parlava di seconda nascita, di dare un bambino a una famiglia. La sensibilità e l’attenzione verso il bimbo si sono modificate: pensiamo alla dichiarazione dei diritti dei bambini (XXX che ricorre quest’anno)  e all’entrata in vigore della convenzione dell’Aja (93) per fermare il mercato dei minori e agli articoli del CC svizzero entrato in vigore nel 2018 (passando dall’ordinanza Aoad 2011).
Viviamo una fase di transizione: il quadro storico, sociale, psicologico sono profondamente diversi come pure quello giuridico; si sono evoluti e con essi Il modello dell’adozione è profondamente mutato
Quadro giuridico:
OAdoz-CH (2011),
CC (2018)
Convenzione Aja (1993)
Art 1 della convenzione dell’Aja sancisce che l’adozione deve essere fatta nell’interesse superiore del bambino e nel rispetto dei suoi diritti fondamentali. Il bambino merita, ha il diritto a una famiglia e non viceversa. Il benessere del minore è messo al centro.
L’adozione non è più segreta, il bambino ha il diritto di sapere, di conoscere, di ricuperare il suo passato così da creare una continuità tra passato e presente. Ricerca delle origini: accesso alle informazioni.
La convenzione dell’Aja si basa sul  principio della sussidiarietà quindi l’adozione internzionale è l’ultima ratio.  Importanza dell’etica dell’adozione, di cui troppo poco si parla.
Principi dell’adozione.
Affinché il bambino sia legalmente adottabile il percorso da effettuare è lungo e complesso. Devono essere eseguite delle ricerche, con modalità proprie a ogni paese d’origine, per un eventuale ricongiungimento familiare o devono essere trovate soluzioni alternative nel paese.
Questa ricerca, secondo una procedura codificata, richiede risorse e tempi lunghi, però solo così potranno essere garantiti i diritti del bambino.
Per fondare una famiglia in modo trasparente, legale, il viaggio da percorrere è lungo.
L’adozione può essere naz / internaz. Completa = scioglie i vincoli di filiazione anteriori.
Modello adozione :
triade: bambino - famiglia d’origine - famiglia adottiva.
Avviciniamoci ai vari attori.
I futuri genitori, la maggioranza è confrontata con l’impossibilità o la difficoltà di procreare, devono avere il tempo d’iniziare ad elaborare il processo di lutto/perdita e creare lo spazio mentale per far nascere l’idea di adottare,  per poi intraprendere un lungo cammino (nuova procedura per ottenere il certificato d’idoneità). Saranno confrontati con un’indagine sociale, psicologica e una formazione obbligatoria. In Ticino la formazione nel periodo pre adottivo è di 18 ore e di  12 ore nel post adottivo. Durante la procedura la coppia deve anche scegliere il paese d’origine e il profilo del bambino. Spesso il desiderio dei genitori collide con il desiderio/bisogno del paese d’origine. I genitori durante la procedura sono confrontati spesso a dei cambiamenti, a rivedere i loro desideri, la loro immagine del bambino.

Il bambino giunge con una valigia carica: una storia, un’ identità, un passato, una lingua, usi costumi che influenzano e influenzeranno i suoi futuri comportamenti. Il bambino è stato separato da famiglia, amici, luoghi; ha subito traumi/separazione madre e a volte ha subito maltrattamenti, abusi, mancanza di cure …..e potrebbe soffrire di disturbi dell’attaccamento.
Possiamo immaginare la complessità e quali risorse e competenze sono richieste ai genitori adottivi per costruire nuovi legami e quanta energia è richiesta al bambino .
Lo spiega molto bene  John Bowlby con la teoria dell’attaccamento. La costruzione dell’attaccamento con la figura genitoriale è la condizione necessaria per poter costruire un’autonomia individuale. Non avviene repentinamente, bisogna dare tempo affinché si trasformi in legame sicuro. Questo processo orienterà le relazioni affettive dell’essere umano con l’ambiente dalla nascita alla morte.
Questa complessità e/o difficoltà nello stabilire relazioni potrebbe influenzare anche l’apprendimento. L’inserimento  a scuola è un momento sensibile: tutti sappiamo che l’apprendimento si basa sul tipo di relazione che s’instaura con l’insegnante e con i compagni.  Il bambino a scuola si confronta: deve costruire nuovi legami, imparare nuovi parametri culturali, espressivi, valoriali, apprendere e, allo stesso tempo, essere oggetto di curiosità, di domande difficili e dolorose. Il bambino può avere difficoltà di adattamento, sia relazionali sia scolastiche, e potrebbe rispondere con difficoltà di concentrazione, ipereccitabilità, cinestesia, difficoltà a rispettare le regole e con comportamenti inadeguati (causa: abbandono/rottura legami familiari, maltrattamenti, povertà sociale, trascuratezza, lunga istituzionalizzazione).  
Nuovo approccio di considerare i disturbi d’apprendimento.
Elena Simonetta offre una nuova e interessante lettura quando ci parla della disgnosia.
“La disgnosia è il disturbo delle capacità di conoscere o di apprendere a seguito di esiti traumatici non elaborati, collegata a ritardo psicomotorio, ritardo nelle funzioni psicolinguistiche e nella evoluzione della rappresentazione mentale, elemento che collega il linguaggio allo sviluppo psicomotorio; inoltre sono spesso carenti anche le modalità logiche e di simbolizzazione.
Difficoltà di attenzione e concentrazione, labilità mnestica, scarsa autonomia, incoerenza e frammentazione nei processi di pensiero e comorbilità con disturbi somatici e/o della sfera emotivo-relazionale, sono altri aspetti che caratterizzano le difficoltà ad apprendere dei soggetti disgnosici”.

Il nuovo modello di adozione, come c’insegna Brodzinsky, è un percorso di costruzione di relazioni e gestione di temi complessi che si propongono e ripropongono lungo tutto l’arco della vita. Perché l’adozione è un lifelongprocess.

Una mamma riflette ad alta voce
La ricerca della normalità
Noi sognavamo una vita come quella di tutti gli altri genitori. Volevamo essere dei genitori normali con dei figli normali. Nulla di più.  Ma è proprio così?
Spesso, i genitori adottivi ricercano una normalità che non potrà mai essere, perché nel momento stesso che hanno intrapreso la strada dell’adozione hanno fatto una scelta di diversità”. Laura Pensini, L’adozione va a scuola, Prisma Luce Edizioni, p. 92

Il trauma dell’abbandono e il passato
Per ogni adottato c’è una dichiarazione di stato di abbandono; un vissuto complesso. Poiché non è normale che una madre abbandoni il proprio figlio, può capitare che chi è abbandonato si senta responsabile dell’accaduto e allora “se sono stato rifiutato e abbandonato, vuol dire che in me c’è qualcosa di terribile”. Senso di colpa e di vergogna. 

Tutti gli adottati hanno subito una profonda ferita, che Nancy Newton Verrier, psicologa clinica californiana, definisce “ferita primaria”, “una ferita fisica, emotiva, psicologica e spirituale”. Chiaramente ogni bambino ha una sua storia unica e irripetibile e non c’è un unico modo per vivere la separazione. Ci sono bambini che hanno una capacità di resilienza superiore ad altri, cioè che hanno maggiori capacità per fronteggiare il trauma subito (chi si adatta e chi sembra non essere in grado di reagire). Esperienze pluritraumatiche nei bambini più grandi: sono bambini trascurati, maltrattati, umiliati, abusati e rifiutati.

Ogni bambino porta con sé il proprio passato, una grande valigia invisibile che racchiude tutto il suo mondo: nove mesi nella pancia della mamma + l’esperienza di giorni, mesi anni. Non si può mettere una pietra sul passato e nemmeno metterlo da parte: non riconoscerlo vuol dire cancellare una parte della storia dei nostri figli, negare una parte importante della loro identità, sottovalutare  le loro ferite, non riconoscere il loro dolore; in altre parole  non credere in loro. Così facendo si rischia di compromettere il processo di attaccamento, la creazione di un nuovo legame e la costruzione di una storia condivisa.
Per fare questo occorrerà anche fare i conti con i genitori di nascita, con la prima coppia genitoriale così diversa ma così disperata. La loro storia non è una storia separata da quella dei nostri figli. Noi dobbiamo offrire loro una chiave di lettura del loro abbandono.

La sfida
Gli adottati crescono: escono dall'ambiente protetto della famiglia. Cercano nuovi modelli di riferimento. Non è facile soprattutto per chi ha la pelle scura (piccolo: simpatico negretto; grande: c’è da fidarsi? cosa vuole?) Gli adolescenti si guardano con gli occhi degli altri: lo sguardo sociale li rimanda alle loro origini. E allora perché non diventare quello che già gli altri pensano di loro?
Fa meno male essere biasimati perché si assumono comportamenti da bulli, perché si usa un linguaggio sboccato, perché si elemosinano soldi per strada, perché si abusa di alcol…piuttosto di restare fermi al sentimento di esclusione e di vergogna.

Sono gli anni più difficili, che in taluni casi portano all'allontanamento da casa. Sbattendo la porta ci chiedono un abbraccio. Sono grandi, ma emotivamente bebé. Spesso sono incapaci di regolare le loro emozioni. Da bambini non hanno avuto vicino una madre in grado di calmare le loro ansie e paure. Il fatto di non essere riusciti con le urla e con i pianti disperati a far ritornare la mamma, li ha convinti di non avere nessun effetto sugli altri, di essere invisibili ai nostri occhi.

Il ruolo dei genitori
I miei figli non avevano bisogno di una mia presa di distanza, della mia paura di essere, a mia volta, giudicata sulla base dei loro comportamenti! Non sono i loro comportamenti ad essere anormali , è anormale la loro esperienza di figli feriti”. Nancy Newton Verrier, Coming Home to Self. The Adopted Child Grows Up, Baltimore 2003.
Noi non possiamo salvare nessuno, possiamo però far sentire sempre la nostra presenza. Non chiudere mai la porta alle loro spalle. Prima di giudicare e sanzionare dobbiamo fermarci a riflettere: ognuno ha sempre un valido motivo per esprimere i suoi sì e i suoi no. Questo certamente non vuol dire giustificare condotte riprovevoli, vuol dire tentare di entrare nella mente dei nostri figli, alla ricerca dei loro pensieri, delle loro emozioni; cercare di mettersi sulla stessa lunghezza d’onda, in risonanza con loro.

I ragazzi diventano adulti
I nostri figli stanno trovando, un po’ per volta, la loro strada. Stanno imparando a camminare in linea retta e non più a zig-zag. La sensazione di non appartenere a nessuno, la rabbia, la sfiducia stanno lasciando il posto alla serenità, al perdono e alla gioia.
Ma ha ancora senso, ora che sono adulti, parlare di adozione? Di solito si parla di bambini adottati o di adolescenti; di adulti mai. Ma l’adozione non è una cosa che ha una fine: è una condizione esistenziale, che accompagnerà i nostri figli per tutta la vita, che ne determinerà le scelte, da quelle lavorative a quelle relazionali (amicizia e amore), il loro modo di porsi nei confronti della società…

Spazioadozione: attività, progetti, collaborazioni.
Come associazione abbiamo proposto in questi anni diverse attività e progetti indirizzati a promuovere la cultura dell'adozione. Sempre più spesso (diverse volte al mese) riceviamo richieste di aiuto, anche  molto forti, che ci scuotono… Ci chiamano famiglie in crisi, anche dall'estero: ci raccontano le loro storie, ci chiedono consigli e suggerimenti sui libri da leggere (purtroppo molti non sono disponibili in italiano e non sono fruibili direttamente dai ragazzi). Alla fine ci rendiamo conto che rispondiamo ad un bisogno sociale. 

Brevemente vi presento le nostre attività:
1.       gruppo auto aiuto (1 volta al mese) autogestito o con la presenza di uno o più professionisti
2.       caffè degli adottati”, un momento di ritrovo tra figli adottivi adulti
3.       corsi di formazione per genitori
4.       corsi di formazione per docenti della scuola d'infanzia, elementare e media (gestiti da esperti)
5.       conferenze diverse con psicologi e figli adottivi adulti 
6.       proiezioni di film e relativi dibattiti
7.       spettacoli teatrali 
8.       presentazioni di libri sull'adozione (il prossimo ad aprile)
Progetti:
1.       ci piacerebbe poter realizzare un monitoraggio della situazione degli adottati in Ticino (non esiste neanche a livello svizzero)  per capire meglio cosa si deve migliorare e come, quali sono le reali necessità, perché spesso si pensa e si dice che va tutto bene, che non ci sono difficoltà o che in fondo sono le stesse dei figli biologici, ma poi ci si scontra con delle situazioni che dimostrano il contrario. 
2.       ci sta a cuore promuovere la cultura dell'adozione nelle scuole, all'interno del mondo del lavoro, nei luoghi di detenzione e di cura. 
3.       ci piacerebbe poter aiutare il reinserimento dei figli adulti adottati che hanno avuto un passato non facile da gestire (studi non terminati, carcere, ospedalizzazioni, foyer,ecc) ma che nel contempo avrebbero bisogno di sentirsi accolti, integrati... Non dobbiamo dimenticare che anche i giovani non accompagnati, che arrivano sempre più numerosi da paesi lontani, sono figli traumatizzati, che vanno accolti, integrati e soprattutto capiti, così come i nostri figli
4.       vorremmo poter finanziare la traduzione di libri che aiutano i giovani adulti a diventare padroni della propria vita.
Collaborazioni:
1.       siamo iscritti al Forum genitorialità e l'anno prossimo saremo presenti ad un incontro/conferenza per i trenta anni dei diritti dei bambini
2.       siamo iscritti alla Conferenza del Volontariato e abbiamo collaborato portando la nostra testimonianza per un progetto a livello nazionale.
Abbiamo frequentato, quando possibile, seminari diversi per formarci e tenerci aggiornati sui vari temi riguardanti l'adozione
Abbiamo sensibilizzato i mass media, rilasciando interviste e partecipando a programmi televisivi (Storie, Falò)

Per approfondire i temi trattati rimandiamo al nostro sito http://www.spazioadozione.org/
che nei prossimi mesi sarà rivisto nella sua forma grafica. Ricordiamo, infine, che tutto il lavoro svolto in questi anni è sempre stato a titolo di volontariato.