mercoledì 11 marzo 2009

E dopo?

Il nostro blog ha riportato alcuni interventi pubblici in merito alla prospettata costruzione di un centro per giovani bisognosi di un periodo di contenimento (vai a "Niente di personale"di mercoledì 11 febbraio).

Cosa c’entra questa problematica con l’adozione? In parte ha già risposto la madre del giovane processato a Lugano per bullismo e violenza.
Il malessere che spesso porta con sé il figlio abbandonato e adottato è largamente sottovalutato. I meccanismi con cui egli rivolge la sua aggressività contro di sé, contro gli altri e anche verso i genitori, sono spesso ignorati o non sufficientemente compresi anche da non pochi addetti ai lavori (psichiatri, psicologi, pediatri, docenti, ecc.) con la conseguenza grave di non ricevere un aiuto adeguato.

“Come altre vittime di un trauma, gli adottati spesso spostano la rabbia per ciò che è accaduto loro, sulle persone che li accudiscono. Sebbene alcuni adottati che si sono riuniti ai loro genitori di nascita, affermino di provare rabbia verso le madri naturali o la società che è stata la causa della loro separazione, altri diranno di non provare ostilità nei loro confronti. Ciononostante tutti loro hanno dimostrato un comportamento oppositivo e un’intensa rabbia verso i genitori adottivi. Paradossalmente verso quegli stessi genitori adottivi sentono anche una forte dipendenza e il bisogno di legarsi a loro. Questa ambivalenza provoca una grande confusione e un comportamento incomprensibile(…).”


“Purtroppo le loro reazioni di difesa producono spesso proprio il risultato che gli adottati temono: l’abbandono. I figli adottivi finiscono per essere mandati in comunità terapeutiche, scuole speciali o semplicemente in strada”. (Nancy Newton Terrier, La ferita primaria, comprendere il bambino adottato, il Saggiatore, 2007, pag.105 e 106).

Ecco perché le strutture di contenimento ma soprattutto gli strumenti d’aiuto verso il malessere di bambini e adolescenti e anche adulti ci interessano in modo particolare.

Rispetto al centro di contenimento di cui si parla (10 posti per 3 mesi!), concordiamo con quanto detto al “Regionale” TSI 1 del 12 febbraio 2009 dal Direttore della Fondazione Amilcare, Raffaele Mattei:

Chiudere i ragazzi per tre mesi, poi, dopo, cosa facciamo con questo ragazzi?. In Ticino sono anni, decenni che si parla di pianificazione per i minori, per gli adolescenti e non c’è nessun tipo di pianificazione e le strutture esistenti, dopo un periodo dove i ragazzi sono chiusi dentro, non esistono; c’è un solo tipo di struttura che sono gli istituti sociali.

Se pensiamo solo alla struttura chiusa, di sicuro, non risolve i problemi, anzi, a mio parere, li potrebbe anche aggravare, perché se noi chiudiamo dentro un ragazzo, che è arrabbiato perché ha subito, e lo chiudiamo dentro per te mesi, e non troviamo una soluzione, questo esce più arrabbiato di prima eh, detto così “terra a terra”.


Il Ticino è largamente carente di offerte formative e di strutture adeguate ad accogliere e comprendere il grave disagio dei giovani. Le manifestazioni violente si assomigliano tutte, ma diverse e del tutto specifiche sono le cause che le producono.

Per quanto ci concerne riteniamo fondamentale che la cultura dell’adozione, e le conseguenze dei traumi dell’abbandono, vengano largamente conosciute. È un lavoro che dovrebbe iniziare fin dalle scuole dell’infanzia così da divenire, col tempo, patrimonio della cultura del nostro paese.

Col nostro lavoro intendiamo dare un modesto contributo all’avanzamento di queste conoscenze e sostenendoci tra noi genitori pensiamo di essere d’aiuto anche ai nostri figli.