venerdì 7 dicembre 2018

"Prendersi cura dell'adozione a scuola" video e slide


Giornata internazionale dei diritti dell'infanzia e dell'adolescenza 

Convegno: "Prendersi cura dell'adozione a scuola". Perugia 19 novembre 2018

Con un semplice click tanto materiale su cui riflettere!

https://spark.adobe.com/page/bVgO1PhqL49tj/?fbclid=IwAR2ItK5odtbMbZzb4v-4veXTZtxShiQc-U6I1Oa3F1FSIu7aqb3F0Ijov7Y



martedì 13 novembre 2018

Convegno "Fin dall'origine verso le origini"



"Fin dall'origine verso le origini” 

15 dicembre 2018, Milano, 9.00 – 17.00
Cripta dell’Aula Magna dell’Università Cattolica in via Largo Gemelli 1.

La partecipazione é gratuita, ma é necessario iscriversi inviando una mail a: eventiserviziosociale@unicatt.it


 Origini e adozione. Nel mondo dell’adozione, ricercare le origini per qualcuno significa riavvicinarsi alla propria cultura di origine, per altri fare un percorso interiore o portare avanti la battaglia legislativa o, ancora, godere dell’opportunità data dall’art.28. Per molti è una tematica che desta preoccupazione o solleva il bisogno di rispecchiarsi dal punto di vista fisico… Per tutti è oggi un tema di rilevanza centrale su cui è importante riflettere.
Sono tanti gli Enti e le Associazioni che si confrontano e portano avanti idee, iniziative e proposte per promuovere un cambiamento culturale, sempre più atteso. L’Università Cattolica, il CTA e la Scuola di Psicoterapia IRIS  intendono dare voce a questo ricco caleidoscopio di voci all’interno di un convegno dal titolo ” Fin dall’ORIGINE verso le ORIGINI ” che si terrà il 15 dicembre 2018 a Milano.

Programma:
Saluti di apertura di:
Fabio FOLGHERAITER, Coordinatore del corso di laurea in Servizio Sociale e Direttore del Centro di Ricerca RSW, Università Cattolica del Sacro Cuore
Maria Carla GATTO, Presidente del Tribunale per i Minorenni di Milano
Sonia NEGRI, Settore Adozione del Centro di Terapia dell’Adolescenza di Milano
Mattinata:
Prassi giuridiche e indicazioni dalla ricerca:
Presiede: Gloriana RANGONE, Responsabile del Settore clinico e formativo, CTA di Milano
Laura LAERA, Vice-presidente della Commissione Adozioni Internazionali “Apertura alle origini: Prospettive ed evoluzioni dal punto di vista giuridico”
Milena DALCERRI, Giudice Onorario Tribunale per i Minorenni di Milano “Accesso alle origini: l’esperienza e le prassi del Tribunale per i Minorenni di Milano”
Rosa ROSNATI, Professore ordinario di Psicologia sociale, Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia, Università Cattolica del Sacro Cuore “Adozione e ricerca delle origini, uno sguardo alle ricerche”
Verso la costruzione di buone prassi
Presiede: Valentina CALCATERRA, Ricercatrice, Docente di metodologia del Servizio Sociale, Centro di Ricerca RSW, Università Cattolica del Sacro Cuore
Francesco VADILONGA, Direttore del CTA di Milano “Risorse e criticità nei percorsi di confronto con le origini”
Sara LOMBARDI, Responsabile del Settore Adozione del CTA di Milano “L’accompagnamento terapeutico alla ricerca delle origini”
Raffaella PREGLIASCO, Responsabile Servizio Attività Internazionali Istituto degli innocenti “Esperienze regionali in tema di accompagnamento alle informazioni sulle proprie origini. Il progetto Ser.I.O. della regione Toscana”
Laura MALACRIDA, Collaboratrice del Centro di Ricerca RSW e Dottoranda in Sociologia, organizzazioni e culture, Università Cattolica del Sacro Cuore “Persone Adottate alla ricerca delle origini: una ricerca partecipativa per far emergere la loro voce”
Pomeriggio:
Tavola rotonda: esperienze e testimonianze
Presiede: Anna VISCONTI, Responsabile Settore Progetti e Sviluppo CTA di Milano
Discussant: Melita CAVALLO, ex-Presidente del Tribunale per i Minorenni di Roma ed ex-Presidente della Commissione per le Adozioni Internazionali
Gloriana RANGONE, Responsabile del Settore clinico e formativo, CTA di Milano
Intervengono:
Francesco BERNASCONI, Associazione Petali dal Mondo
Aroti BERTELLI, Esperta per esperienza
Maria Rosaria LUONGO, Assistente Sociale Comune di Milano
Monica ROSSI, Associazione FAEGN – Figli Adottivi e Genitori Naturali

domenica 19 agosto 2018

La mia storia sulla pelle

Concorso fotografico






E’ online il concorso fotografico “La mia storia sulla pelle”, ideato da CTA e realizzato con la collaborazione del coordinamento CARE, il patrocinio dell’associazione CO.ME.TE. e della SIRTS e con il sostegno di Gaf ComunicazioneGuz tattooTattoolife e Toniutatto.
Si tratta del primo concorso fotografico aperto a tutti coloro che sono stati adottati o in affido e che possiedono un tatuaggio legato alla propria storia. 
In chi è stato adottato, tatuarsi significa disegnare indelebilmente oggi, sulla propria pelle, riferimenti al proprio passato che saranno presenti anche domani, manifestando il bisogno di connettersi con la propria storia per creare una continuità nella propria identità. Passato e presente si radicano nel corpo. Il tatuaggio può rendere visibile il passato e incrementare la capacità di riflettere su di esso.
MODALITA‘ DI PARTECIPAZIONE

Il concorso è aperto dal 15 luglio al 30 ottobre 2018. La partecipazione è gratuita, è sufficiente inviare una o più fotografie del proprio tatuaggio unitamente alla scheda di presentazione debitamente compilata e firmata.
Sono ammesse fotografie b/n e a colori, in formato jpeg, con inquadrature sia verticali che orizzontali in cui sia visibile il tatuaggio.
PREMI E GIURIA
L’idea, la bellezza estetica, l tecnica fotografica, l’originalità e ciò che il tatuaggio esprime riguardo all’adozione, all’affido e al tema delle proprie origini saranno i criteri fondamentali della selezione. Le fotografie più significative saranno selezionate per realizzare una mostra.
Verranno assegnati i seguenti premi:
1°: La partecipazione a un weekend in barca a vela nel mediterraneo offerto da CTA
2°: Buono per tatuaggio del valore di 250€ offerto da Toniatu Tattoo di Noceto (PR)
3°: Buono per un tatuaggio del valore di 200€ offerto da Guz Tattoo di Tradate (VA)
4°: Buono per tatuaggio del valore di 150€ offerto da Toniatu Tattoo di Noceto (PR)

5°: Buono per tatuaggio del valore di 80€ offerto da Toniatu Tattoo di Noceto (PR)
6°: Un workshop fotografico di due giorni a Parma offerto e realizzato da GAF Comunicazione – Web Agency – Studio Fotografico
7°: Una copia del libro Inward: the art of Thomas Hooper, offerto da Tattoolife
La giuria sarà composta dal direttore e due collaboratori del CTA, un tatuatore, un fotografo, un rappresentante delle associazioni di famiglie adottive, un ragazzi adottato e un ragazzo in affido. La giuria esprimerà un giudizio insindacabile. La cerimonia di premiazione avrà luogo a Milano entro il mese di dicembre 2018. Tutti i partecipanti al concorso verranno invitati a partecipare.
Per leggere il regolamento integrale:
Per vedere le immagini in concorso:
Per iscriversi al concorso:

sabato 5 maggio 2018

A la recherche de ses parents biologiques

Bon nombre d’enfants adoptés veulent savoir d'où ils viennent. Ils se lancent alors à la recherche de leurs parents biologiques. Au bout du chemin: une réalité qu'ils n'imaginaient pas forcément."MIGROS MAGAZINE" del 19 aprile 2018 Testo di Tania Araman

Un prénom, une date et un lieu de naissance. C’est avec ces maigres informations, occasionnellement agrémentées d’une photo aux couleurs passées ou de la copie d’une lettre remise au berceau, que sont régulièrement publiées sur Facebook des petites annonces intitulées «Recherche parents biologiques». Autant de bouteilles lancées à la mer par des enfants adoptés dans l’espoir de retrouver leurs origines. Pour eux, comme pour tant d’autres qui n’ont pas forcément recours aux nouvelles technologies (lire encadré), débute alors un long chemin, souvent tortueux, vers d’éventuelles heureuses retrouvailles, mais aussi de potentielles déconvenues.

Une aide dans les démarches

«Nous faisons parfois face à des dossiers épineux et les démar­ches peuvent s’échelonner sur plusieurs années», confirme Stephan Auerbach, médiateur et responsable du secteur des services transnationaux du Service social international – Suisse (SSI), à Genève. C’est à cette organisation, présente dans 120 pays et qui défend les droits des enfants, des parents et des migrants, que les personnes en recherche d’origines peuvent s’adresser pour obtenir une assistance psychosociale et pour les épauler dans les formalités administratives et juridiques. Celles-ci pouvant s’avérer assez lourdes, surtout lorsqu’il s’agit d’aller trouver des informations dans d’autres pays. «Grâce à notre large réseau, nous agissons en tant qu’intermédiaire. Légalement, toute personne adoptée a le droit d’avoir accès au dossier constitué à sa naissance. C’est sur cette base que nous essayons de localiser la famille biologique.» Une tâche qui n’est pas toujours aisée, et même parfois impossible, par exemple en cas d’adoption illégale.

“Les démar­ches peuvent s’échelonner sur plusieurs années”
—Stephan Auerbach
Dans ces moments parfois pesants, si un soutien moral est nécessaire, le SSI aiguille ses protégés vers l’association genevoise Espace A, qui accompagne toute personne concernée par des questions d’adoption, notamment celles qui se lancent dans une recherche d’origine. «Entre l’espoir, la peur, l’excitation, la frustration et la déception, les émotions qu’elles ressentent durant ce parcours sont très ambivalentes: de véritables montagnes russes…», relève Marion Tièche, psychologue et psychothérapeute à Espace A. «Notre travail consiste parfois à freiner leurs ardeurs, à les préparer au fait que tout ne se déroulera peut-être pas comme elles l’avaient imaginé.»

Attentes et réalité

D’autant que les attentes sont souvent grandes. «Beaucoup d’enfants adoptés ont l’impression que toutes leurs questions existentielles vont être résolues lorsqu’ils trouveront leur famille biologique, observe Stephan Auerbach. Il est donc important de discuter dès le départ de leurs motivations, qui varient fortement d’une personne à l’autre.» Même son de cloche chez la psychologue: «Certains vivent depuis toujours avec l’idée qu’une fois atteint leur majorité, ils se lanceront à la recherche de leurs origines; d’autres en ressentent le besoin lorsqu’ils fondent eux-mêmes une famille. Les raisons peuvent être aussi médicales, quand il s’agit de découvrir ses antécédents.» Et de préciser que cette envie de connaître son passé ne se retrouve pas systématiquement chez tous les adoptés.

“Notre travail consiste parfois à freiner leurs ardeurs, à les préparer au fait que tout ne se déroulera peut-être pas comme elles l’avaient imaginé”
—Marion Tièche
De même que tous les parents biologiques ne souhaitent pas entrer en relation avec l’enfant qu’ils ont mis au monde bien des années auparavant. «Aucune loi ne les y oblige», souligne Stephan Auerbach. Sur les quelque 80 cas que le SSI traite chaque année, seul un tiers aboutit à une rencontre. «Une fois la localisation effectuée, nous cherchons à établir le contact. Même si une mère n’oublie jamais le bébé qu’elle a porté, certaines ne souhaitent pas rouvrir une plaie qui a mis du temps à cicatriser. Parfois, leur propre famille n’est même pas au courant.» Difficile pour les enfants écon­duits d’accepter cette triste réalité. «Ils peuvent vivre cela comme une injustice, qui fait écho à celle de l’abandon, explique Marion Tièche. Et lorsque les recherches n’aboutissent pas, certains ont du mal à renoncer, après avoir investi autant de temps et d’énergie.» Précision de Stephan Auerbach: «Dans ces cas-là, il est important qu’ils sentent qu’ils ont tout essayé, qu’ils ont fait tout ce qui était en leur pouvoir. Alors seulement ils peuvent éprouver un certain apaisement.»

Un lien à maintenir ou non

Et qu’en est-il de ceux qui parviennent, enfin, à entrer en contact avec leur famille d’origine? «Beaucoup s’imaginent que c’est l’aboutissement de leur voyage, relève la psychologue. Mais toutes les rencontres ne se passent pas comme dans les films. Se pose ensuite la question du lien à maintenir et ils se retrouvent parfois face à des demandes très fortes, qu’elles soient financières ou affectives. Nous devons alors les aider à déterminer la distance qu’ils souhaitent mettre entre eux et leurs parents biologiques.» Jamais de happy end, alors? «Si, il arrive que tout se passe très bien lorsque les deux parties sont en accord sur la relation qu’elles souhaitent renouer. L’expérience peut alors être enrichissante et riparatrice”. 

Aujourd’hui, je me sens apaisée”
—Emmanuelle 51 ans, infirmière de formation, Sion.

“L’envie de connaître mes origines n’est venue que tardivement, à l’âge de 47 ans. Ou peut-être existait-elle déjà, enfouie au fond de moi, mais j’avais peur de blesser mes parents adoptifs, envers qui je me sentais redevable. Comme je le leur ai expliqué, j’ai entrepris cette démarche pour moi, et non contre eux. De mon point de vue, nos parents restent ceux qui nous ont élevés, mais connaître ses origines est légitime. Or, je ne savais pas grand-chose, si ce n’est que je venais du Liban. Je connaissais également le nom de l’orphelinat dans lequel j’avais passé mes six premiers mois. Mais le nom et le prénom qui m’avaient été donnés étaient fictifs. Ce n’est qu’en me rendant sur place, en 2014, et en ayant eu la possibilité de consulter les registres, que j’ai appris les nom et prénom de ma mère. Je suis ensuite passée par plusieurs canaux: les ambassades, l’association qui avait organisé mon adoption, divers organismes administratifs, le CICR,etc., démarches longues et épuisantes, sans résultats. C’est finalement grâce aux tests ADN que la situation s’est dénouée: ils m’ont permis de découvrir des membres plus ou moins éloignés de ma parenté biologique. Après des heures et des heures de recherches sur internet dont Facebook et de nombreux mails, j’ai retrouvé la trace d’un cousin qui a tout de suite réagi. C’est lui qui m’a raconté qu’une de ses tantes avait dû abandonner un enfant à la naissance. Il s’agissait bien de ma mère. J’ai appris qu’elle n’avait que 17 ans lorsqu’elle s’est retrouvée enceinte sans être mariée et que ses parents l’avaient contrainte à m’abandonner. Elle avait même cherché à me retrouver dans tout Beyrouth.

“J’ai eu beaucoup de chance: toute la famille était au courant de mon existence”
—Emmanuelle  
“J’ai eu beaucoup de chance: toute la famille était au courant de mon existence. J’ai été alors mise en contact avec ma demi-­sœur, avec qui j’ai correspondu pendant plus d’un mois avant d’organiser un Skype avec ma mère. Je ne réalisais pas encore très bien ce qui m’arrivait. D’ailleurs, j’ai encore un peu de mal à y croire aujourd’hui. Pourtant, en février, je me suis rendue en Australie, où ma mère avait émigré avec sa famille en 1969. Même si ce n’était pas les grandes retrouvailles éplorées auxquelles tout le monde s’attend, nous avons l’une et l’autre été heureuses de nous rencontrer et de pouvoir partager nos parcours de vie. Bien sûr, toute notre relation reste à construire, ce n’est pas un conte de fées. La situation est encore neuve, il y a beaucoup à digérer. Mais aujourd’hui, je me sens apaisée. Et je continue d’exploiter les résultats de mes tests ADN pour retrouver mon père. J’encourage vivement les adoptés qui recherchent leurs origines à faire tester leur ADN: c’est une piste scientifique qui va droit au but.»

«J’ai toujours ressenti le besoin de savoir qui j’étais, d’où je venais»
Anne-Christine Vuagniaux, 35 ans, éducatrice de l’enfance, ­vice-présidente de l’association Adopte.ch, Lausanne.

«Mes parents ne m’ont jamais caché que j’avais été adoptée: venant de Colombie, je ne leur ressemblais pas physiquement. De mes origines, je ne savais que ce qu’on leur avait raconté: bébé, j’avais été abandonnée devant un orphelinat et c’était là qu’on m’avait donné arbitrairement mon nom et mon prénom, Ana Cristina, que mes parents adoptifs ont francisé. J’ai toujours ressenti le besoin de savoir qui j’étais, d’où je venais. Mais ce n’est qu’à l’âge de 30 ans que je me suis autorisée à entreprendre des démarches concrètes. J’ai entamé mes recherches seule, sans en parler à mes parents. Cela m’appartenait, je voulais avancer à mon rythme. J’ai adhéré à l’association Adopte.ch où j’ai trouvé un soutien qui m’a permis de m’adresser au Service social international. J’ai finalement décidé de me rendre en Colombie: j’avais envie de pouvoir me représenter mon pays d’origine. J’en ai alors parlé à ma mère, qui m’a soutenue dans ma démarche. Avant de partir, j’avais fixé un rendez-vous avec l’organisation colombienne en charge des questions d’adoption. J’ai été très mal reçue. On m’a fait comprendre qu’il n’y avait rien à chercher. J’ai été mieux accueillie à l’orphelinat. Je suis tombée sur une personne qui travaillait déjà là-bas quand j’étais bébé et nous avons noué un lien très fort. Elle m’a été d’une grande aide, de même que d’autres personnes rencontrées sur place”.

“J’ai entamé mes recherches seule, sans en parler à mes parents”—Anne Christine Vuagniaux

"Je me suis également rendue dans une clinique mentionnée dans mon dossier, où j’ai découvert que j’avais été admise pour une tuberculose avant mon arrivée à l’orphelinat. Dans les archives, mon nom et mon prénom figuraient dans le registre des admissions. La version de l’histoire donnée à mes parents adoptifs, selon laquelle j’avais été déposée devant la porte de l’orphelinat et que celui-ci m’avait donné mon nom et prénom, était donc fausse. Après un mois, j’ai compris que je n’allais pas obtenir plus d’informations. Je suis donc rentrée chez moi. Même si je n’ai pas retrouvé ma famille d’origine, ce voyage m’a beaucoup apporté: je me suis réapproprié mon prénom – mes amis proches m’appellent Ana – ainsi qu’une partie de mon histoire. Et j’ai rencontré des gens qui aujour­d’hui comptent énormément pour moi. Je pourrais explorer d’autres pistes, mais cela demanderait beaucoup de temps, d’énergie et de moyens: en Suisse, aucune aide financière n’est prévue pour accompagner les personnes adoptées dans leurs recherches. Je trouve que c’est un manque.»

«Mon rêve s’est transformé en cauchemar»
Sarah Miserez, 17 ans, gymnasienne, Yverdon.

«J’ai toujours eu envie de retrouver ma mère biologique, qui est colombienne. Même si mes parents adoptifs sont géniaux, je sentais, dans mon cœur, qu’il manquait une pièce du puzzle. Quand je me suis inscrite sur Facebook, fin 2015, j’ai entré le nom et le prénom qui avaient été transmis à mes parents par l’orphelinat dans la barre de recher­che. Sur un des profils qui correspondaient, il y avait une photo d’une femme qui me ressemblait. Avec elle, une petite fille: c’était moi plus petite! La veille de Noël, elle a posté une nouvelle photo avec un garçon plus âgé. Or, je savais qu’elle avait eu un fils avant moi. Les âges et les prénoms correspondaient, cela ne pouvait pas être une coïncidence. Je voulais lui envoyer un message tout de suite, mais mes parents m’en ont dissuadée. Ils voulaient d’abord se renseigner sur la meilleure manière d’agir. Je lui ai finalement écrit en janvier, en lui faisant comprendre à demi-mot qui j’étais (je ne savais pas si elle avait parlé de moi à son entourage). Elle a très vite répondu. Au début, tout s’est passé à merveille. J’étais très heureuse, je réalisais le rêve de ma vie! J’ai fait la connaissance, par des appels vidéo, de ma grand-mère, de ma demi-sœur et de mon demi-frère, avec qui je me suis très bien entendue. J’ai noué des liens avec eux et c’était encore mieux que ce que j’avais imaginé, un vrai bonheur! Nous avions prévu d’aller en Colombie en août avec mes parents adoptifs. Mais trois jours avant le départ, des amis de notre famille sont tombés sur une photo de mariage de ma mère biologique. J’ai été doublement choquée: non seulement elle m’avait promis de m’attendre pour la cérémonie, mais en plus, on voyait clairement sur cette photo que c’était des gens assez aisés financièrement, alors qu’elle nous avait fait croire qu’ils vivaient dans la misère. Nous leur avions même envoyé de l’argent pour les aider.


“Elle m’a fait passer pour la méchante de l’histoire” 
—Sarah Miserez

“Réalisant qu’ils nous avaient menti et trompés, nous n’avions plus confiance et nous avons décidé d’annuler le voyage. Ma mère biologique l’a très mal pris, elle m’a fait passer pour la méchante de l’histoire et elle a monté toute sa famille contre moi. Pendant des mois, j’ai quand même maintenu le contact, même si elle m’engueulait et m’insultait. J’avais peur de la perdre, mais mon rêve s’était transformé en cauchemar et j’ai énormément souffert de cette histoire. Il y a quelques semaines, je lui ai finalement envoyé un message pour lui dire ce que j’avais sur le cœur. Depuis, elle a essayé à de nombreuses reprises de me contacter, mais je ne lui réponds plus. Je ne sais pas si je renouerai avec elle un jour. Elle a tout brisé, même la relation que j’aurais pu avoir avec mon frère et ma sœur”.

Les nouvelles technologies dans la recherche de ses origines

L’avènement de Facebook - sur lequel un appel peut être propagé à travers le monde avec une facilité et une rapidité déconcertante - a-t-il changé la donne en matière de recherche d’origines? Certainement, juge Stephan Auerbach: «Les réseaux sociaux facilitent la localisation de la famille biologique et permettent une certaine autonomie.
Des personnes viennent parfois nous consulter avec des informations recueillies sur la Toile et nous utilisons nous-mêmes ces outils pour établir le contact avec des potentiels parents.» Petit bémol toutefois: «Il existe une zone d’ombre: ces réseaux donnent une illusion de proximité, de facilité, mais les fraudes sont possibles et il n’est pas aisé d’obtenir des données fiables, vérifiables.»
Pour la psychologue Marion Tièche, le risque existe également de se retrouver confronté à une information à laquelle on n’était pas préparé. Sans diaboliser les réseaux sociaux, on leur reconnaît donc une certaine ambivalence, qui sera d’ailleurs débattue en mai à Bienne lors d’un colloque national sur la question de la recherche d’origines*.
*Colloque national, «La recherche d’origines aujourd’hui: enjeux actuels et perspectives», mardi 8 mai 2018, Bienne. Infos et inscriptions jusqu’au 24 avril: www.pa-ch.ch/colloque.

domenica 22 aprile 2018

IO (DI) CHI SONO


Segnaliamo il libro Io (di) chi sono. Il difficile lavoro di ricerca dell'identità delle persone adottate, Bonomo (2017). L'autrice, Simona Sarti, è un'assistente sociale che lavora presso uno dei Ser.T. del Dipartimento di Salute mentale-Dipendenze patologiche dell'AUSL di Bologna. Membro da vari anni dell'associazione Famiglie per l'Accoglienza, ha affiancato il dott. Marco Mastella (vedi post 16 agosto 2009) nella conduzione di gruppi di genitori adottivi.

Il libro affronta due temi importanti e strettamente collegati, quello dell'identità e dell'appartenenza, attraverso le preziose testimonianze di diciassette adottati adulti, di età compresa tra i 23 e i 58 anni. L'autrice offre ad ognuno di loro lo spazio per riflettere sulla propria condizione esistenziale: dalla perdita del legame originario, all'inserimento nella nuova e sconosciuta realtà famigliare, sociale e culturale, fino alla faticosa ricerca  di un equilibrio. Un percorso che i figli adottivi compiono, il più delle volte, in solitudine, privati del legame di appartenenza con la famiglia di origine e costretti a chiedersi ripetutamente a chi essi veramente appartengano. L'assenza di radici sembra privarli del diritto di pensare di essere loro stessi un valore; la consapevolezza di "essere", di esistere come soggetto autonomo in grado di fare delle scelte, di poter prendere in mano la propria vita, sarà il frutto di una dura conquista, ottenuta dopo anni di domande, dubbi e percorsi non lineari. Un cammino impervio e doloroso che li porterà, finalmente, a riconciliarsi con il loro passato.

mercoledì 14 marzo 2018

GENERAZIONE A: MOVING ON


Sabato 3 marzo 2018 la nostra associazione ha promosso la visione del cortometraggio "Generazione A: moving on", ideato e realizzato da un gruppo di otto adolescenti adottivi dell'associazione Prisma Luce di Brescia. Un'occasione importante per riflettere sulle tematiche adolescenziali e non solo, aiutati dalla presenza in sala della dott.ssa Laura Pensini, psicologa dell'età evolutiva e da Kim Soo bok Cimaschi, presidente dell'associazione Prisma Luce e direttore della rivista ADOPNation, entrambi figli adottivi.

Il cortometraggio, interamente girato da ragazzi e arricchito da brani musicali significativi (compreso un breve brano rap), ha toccato vari argomenti: l'amicizia, l'amore, la rabbia, la scuola, il vivere qui e ora senza pensare al futuro, la ricerca della propria identità, la discriminazione razziale, il sentimento di non appartenenza, l'inserimento nella società, il bullismo e le origini. I partecipanti hanno apprezzato molto il coraggio dimostrato dai protagonisti, che si sono esposti in prima persona, e la profondità delle loro riflessioni.
E' stato veramente emozionante e prezioso conoscere i dubbi, le paure e i sogni direttamente dalle voci e dai volti dei ragazzi. Il pubblico presente, molti genitori e alcuni figli adottivi (adolescenti e già adulti), ha partecipato alla visione del cortometraggio con empatia, lasciandosi coinvolgere dalle diverse e contrastanti emozioni dei protagonisti.

 I giovani presenti hanno arricchito il dibattito successivo, guidato dalla dott.ssa Laura Pensini e da Kim Soo bok Cimaschi, portando ognuno le proprie esperienze. Tutti i presenti hanno potuto porre domande, rassicurati dal fatto di avere come interlocutori degli specialisti che hanno vissuto in prima persona l'esperienza dell'adozione e che quindi hanno saputo portare esempi, strategie e vissuti personali molto efficaci e diretti.

Durante l'incontro si è parlato dell'iniziativa che alcuni ragazzi adottivi ticinesi stanno provando ad organizzare sul territorio cantonale: la creazione di uno spazio di incontro (gestito direttamente da loro) dal nome "Time to Meet", in cui potersi esprimere liberamente, svolgere attività ricreative, scambiarsi esperienze comuni. Tra le attività: letture di libri, visione di film e attività ricreative all'aperto. Il gruppo, probabilmente, si incontrerà con periodicità mensile in luoghi pubblici, come sale da té e bar. Attualmente è già operativo un gruppo WhatsApp.
Una iniziativa simile è già attiva da alcuni anni in Svizzera francese e si chiama "Café des Adoptés".

mercoledì 21 febbraio 2018

Silvia Mariana De Marco,"La mente adottiva"



I nostri figli ci parlano attraverso le loro azioni, i loro comportamenti; noi facciamo la stessa cosa con loro. La relazione funziona se entrambi siamo in grado di trasmettere, in modo chiaro, quelli che sono i nostri pensieri, i nostri bisogni, i nostri desideri, le nostre aspettative: in altre parole le cose che vogliamo dire. Non sempre la comunicazione procede in modo lineare e può accadere che una reazione rabbiosa nasconda, al contrario, una richiesta di aiuto. La capacità di mentalizzare, di riflettere sui comportamenti propri e altrui, di capire il nostro stato mentale e quello della persona con cui ci relazioniamo, è alla base di ogni relazione che funziona. Il problema sta nel fatto che questa abilità è influenzata dalle prime esperienze di vita, oltre che dalla nostra eredità genetica.
E’subito chiaro che i bambini pluri-traumatizzati, che hanno conosciuto solo forme di attaccamento insicuro e disorganizzato, non possono avere sviluppato questa capacità di riflessione e questo può avere delle conseguenze molto gravi sulla loro maturazione, sul loro sviluppo emotivo e sociale. Sta allora al genitore, opportunamente preparato e sostenuto, svolgere la funziona riparatrice, offrendo al proprio figlio le prime esperienze di attaccamento sicuro. Le difficoltà sono molteplici, anche in considerazione del fatto che tutto ciò che è nuovo spaventa e, spesso, le buone intenzioni del genitore vengono male interpretate e spesso fraintese.

“La mente adottiva. Il fenomeno multidimensionale dell’adozione:nuove prospettive nell’ottica della mentalizzazione”, Aletti (2017) è un libro utile perché ci aiuta a capire come mai le cose possono non funzionare nonostante le buone intenzioni di tutti, figli per primi. La lettura costituisce un valido strumento per gli addetti ai lavori e per i genitori. E’ uno di quei libri da tenere sotto mano soprattutto nei momenti di difficoltà, perché ci aiuta a metabolizzare la rabbia, l’inevitabile desiderio di rivalsa e ritrovare la calma e la serenità per riaprire il dialogo. Solo se siamo in grado di mentalizzare possiamo insegnare ai nostri figli a fare altrettanto. Ci piace, infine, ricordare che Silvia Mariana  De Marco, oltre ad essere una preparata professionista, è una figlia adottiva!