giovedì 26 novembre 2009

Nancy Newton Verrier, Coming Home to Self. The Adopted Child Grows Up, Baltimore 2003

Stiamo leggendo il secondo libro della Newton nella traduzione in francese: Renouer avec soi. L'enfant adopté devenu adulte, De Boeck 2008. Lo consigliamo a tutti i genitori adottivi che hanno figli adolescenti o adulti e a tutti i figli adottivi che lottano ogni giorno per capire e controllare le loro emozioni e i loro comportamenti.

Nel suo primo libro La ferita primaria. Comprendere il bambino adottato ( tradotto da il Saggiatore, 2008) l'autrice -mamma adottiva e terapeuta della famiglia- aveva posto l'accento sul trauma causato nel bambino dalla separazione dalla madre naturale. Dal punto di vista del bambino è un'esperienza estrema, devastante. È il rifiuto più grave che egli possa subire e che produrrà delle conseguenze sulla sua intera vita. Questo trauma è stato spesso ignorato perché l'adozione, ancora oggi, viene considerata un atto caritatevole che fa degli adottati dei bimbi fortunati. Cosa mai potrebbero volere di più? Ne consegue che i comportamenti di numerosi bambini ( la voglia di distruggere tutto, l'aggressività verbale e fisica nei confronti dei famigliari o dei coetanei, l'incapacità di imparare dai propri errori, ecc...) vengono considerati anormali e i genitori, che tanto normali non devono essere neanche loro, vengono giudicati inadeguati perché poco amorevoli o poco pazienti.

La Newton è categorica: non sono anormali le reazioni dei bambini, "è la loro esperienza - la perdita della madre naturale, del loro patrimonio e del loro passato - ad essere anormale".

Due i principali obiettivi di questo secondo libro: il primo è aiutare gli adottati a trovare il loro Io autentico, un io che è stato deformato dalla mancanza di marcatori genetici e dall' impossibilità di rispecchiarsi nelle figure genitoriali, di nascita ed adottive; l'altro è di aiutarli a diventare consapevoli delle proprie forze e delle proprie responsabilità. Da vittime a protagonisti del proprio presente e futuro.

I primi due capitoli servono all'autrice per tracciare le linee guida del proprio lavoro e fissarne i presupposti teorici. Particolarmente avvincente la parte dedicata alla ricerca sul cervello. Oggi le neuroscienze sono in grado di provare e quantificare gli effetti delle esperienze negative sul cervello del neonato prima della nascita e durante i primi tre anni di vita. Il nostro cervello inizia a lavorare prima che la connessione delle sue cellule (all'incirca100 miliardi) sia ultimata. Alla nascita è l'elemento più indifferenziato del corpo. La formazione delle sinapsi, un'attività che fino alla nascita avviene in modo spontaneo ed è diretta geneticamente, dopo la nascita è determinata dalle esperienze sensoriali e ambientali. Sono dunque le prime esperienze a condizionare le connessioni dei neuroni e a dare inizio ai processi mentali. Nel caso dei neonati abbandonati il trauma della separazione dalla madre è la loro prima esperienza postnatale e sarà questa ad influenzare il modo in cui essi si relazioneranno con gli altri, le loro emozioni, gli stati d'animo e i comportamenti. Da qui la necessità di spiegare e rassicurare i bambini e i ragazzi adottivi, che manifestano comportamenti altamente ansiogeni, al punto da esaurire tutte le loro energie nel processo di adattamento alla sofferenza della separazione/abbandono, che il modo in cui reagiscono alle emozioni non dipende dal fatto che sono "nati male", ma dal fatto che sono stati vittima di un grosso trauma.

È possibile superare il trauma? La risposta è Sì. Occorre pazienza e tempo. Certo non è possibile riscrivere la propria storia, ma è possibile riprendere in mano la propria vita e decidere il proprio futuro. Per fare questo occorre riflettere sulle conseguenze che le nostre azioni hanno sugli altri, prendere coscienza che la nostra personalità -"è così che io sono"- non è il nostro vero Io, ma è il risultato del nostro adattamento al trauma, è il modo in cui noi gestiamo la perdita, nel terrore di rivivere una nuova esperienza di abbandono. "Ricordatevi cosa abbiamo detto sul modo in cui l'esperienza influenza le connessioni dei nostri neuroni. Le nostre percezioni di queste esperienze influenzano anche queste connessioni. E tutte queste prime connessioni sono molto difficili, ma non impossibili, da cambiare". Cambiare dunque si può ma richiede tempo e strategie mirate per aiutare il cervello a creare dei nuovi schemi, a realizzare un nuovo cablaggio.

La seconda parte del libro è interamente dedicata alle tecniche per aiutare i ragazzi adottivi a fare i conti con "la propria ombra", a distinguere tra falso e vero , ad accettare il rischio della gioia e a riappropriarsi della vita.



Per noi genitori adottivi è una lettura intensa che suscita emozioni forti, temperate da una grande sensazione di sollievo e di speranza. La testimonianza di questa mamma ne è un esempio.

"Provo un grande sollievo all'idea di questo libro: finalmente comprensione e conoscenza del problema. Troppi esperti non ci hanno capito. Per esperti intendo coloro che avrebbero dovuto capire e aiutare nostro figlio in difficoltà e quindi la nostra famiglia in difficoltà.
Sono restati alle loro conoscenze e esperienze, senza andare oltre per capire.
È lo stesso sollievo che ho provato nel gruppo quando ho detto che nostro figlio prima di iniziare le distruzioni cambiava sguardo. E io capivo che avrebbe incominciato a distruggere. Varie mamme hanno detto: -Succede anche a me-. Ecco: il sollievo di sapere che anche altri sanno di cosa si sta parlando, perché lo hanno vissuto anche loro. E tutti sappiamo che sono elementi importanti, che potrebbero aiutare i nostri ragazzi se gli esperti ci ascoltassero fino in fondo.
Ma gli esperti non hanno l'esperienza diretta e non si fermano a riunire le esperienze dei genitori.
Newton è insieme mamma adottiva e psicologa: ha un'esperienza diretta e conoscenza professionale e naturalmente la spinta a capire.
Lo stesso sollievo sicuramente potranno sentirlo i nostri figli quando avranno comprensione e spiegazioni vere su quello che gli succede. E come dice Newton hanno diritto di saperlo, loro in prima persona e noi genitori per aiutarli, comunque capirli.
Fin dall'inizio non siamo riusciti a capire molti comportamenti di nostro figlio. Con l'età i comportamenti sono stati ancora più incomprensibili e devastanti. Mi ricordo lo sconcerto, l'ansia, la paura, l'incomprensione totale davanti a un figlio di 11 anni che distrugge tutto quello che gli capita sotto tiro con rabbia e disperazione senza freno. Mi ricordo solo il tappeto di cocci e il mio sconcerto disperato. Per fortuna mio figlio si ricorda come ho agito verso di lui: quando ha smesso la distruzione (prima era impossibile avvicinarlo), l'ho stretto forte e l'ho cullato.
Questo sconcerto rispetto alle sue azioni è un sentimento costante. Quante ore di discussioni abbiamo passato io e mio marito per cercare di decriptare questi comportamenti, di capire i perché, di trovare strategie. Piano, piano siamo arrivati a capire alcune cose, che dopo ti sembrano ovvie: il problema dei compleanni (quale giorno più brutto per chi è stato abbandonato?), le crisi alla partenza di mia sorella per tornare dalla sua famiglia (un piccolo abbandono), le sfuriate al ritorno da scuola (l'incapacità di sentire la fame e dirlo), l'ansia per l'arrivo dei giudizi, la paura di non farsi accettare da un nuovo maestro o un supplente, il terrore di iniziare le scuole medie, ecc...
Ogni volta dovevamo cercare le origini di certi comportamenti per poterli capire e possibilmente prevenire.
Tante volte abbiamo parlato con lui dei problemi, ma andando a tentoni, esaminando il singolo fatto del momento, poco in chiaro sia lui che noi sulle cause profonde. E quindi, in definitiva, siamo stati poco rassicuranti.
Per un miscuglio di motivi abbiamo aspettato un po' a chiedere aiuto: E ancora un po' a parlare con altri genitori.
Per quanto riguarda l'aiuto, non è stato adeguato. Ce ne rendiamo conto sempre di più ad ogni pagina della Newton.

Quanto a parlarne con altri genitori, all'inizio è stato un sollievo scoprire che anche altri avevano gli stessi problemi. Ma non bastava. La specificità dei problemi legati all'abbandono, i motivi di questi problemi, non venivano ancora fuori. Gli "esperti" ci guardavano con commiserazione (quando andava bene) o con insofferenza.
Poi sono arrivati il primo libro della Newton, il gruppo dei genitori, l'Artoni, la consapevolezza.

E adesso il secondo libro della Newton. Più vado avanti nella lettura e più tutto va al suo posto. Risponde agli angosciati perché che ci ponevamo: quello che abbiamo passato ( e passiamo) ha i suoi motivi e forse i suoi rimedi.
Se penso alla sofferenza che abbiamo provato come genitori sconcertati e spesso impotenti, ora mi accorgo che non riesco nemmeno lontanamente ad immaginare quello che può provare nostro figlio rispetto ai suoi comportamenti, ai suoi scoppi, ai suoi eccessi.

Quanta paura, quanta confusione, quanto dolore, quanta solitudine si accumulano sul trauma dell'abbandono.
Ê proprio ora che i nostri figli sappiano con chiarezza che non sono soli a stare male come stanno, che sappiamo quello che succede con l'abbandono, quali sono i detonatori che li fanno saltare, che non è colpa loro, che non sono così e basta, che possono cambiare, che possono avere delle speranze.

Organizzare un gruppo tra adottati può essere una strada. Che sollievo vedere altri come te, scoprire negli altri i tuoi problemi, parlare con qualcuno che sa quello che stai dicendo (proprio come lo è stato per noi genitori).
Dopo forse puoi anche permetterti di pensare di non essere cattivo, che qualcuno può aiutarti, che puoi essere diverso: Che puoi staccarti dalla rabbia di quel bebè disperato che eri".