I bambini adottati incontrano a scuola gli stessi problemi, le stesse difficoltà di tutti gli altri bambini? Ci aiuta pensare che non esistano diversità?Pensiamo sia utile partire da queste semplici domande. Sulla base della nostra esperienza di "genitori collaudati" diciamo che non ci aiuta. Certo è molto rassicurante pensare che il sostegno della nuova famiglia e la buona accoglienza a scuola possano annullare le differenze e permettere ai nostri figli di iniziare il percorso scolastico in una posizione di parità con i loro compagni. Nei fatti ci siamo convinti -e ci sono voluti tanti anni, tanti sbagli e tanta sofferenza (nostra e soprattutto dei nostri figli)- che l'apprendimento scolastico non procede in modo lineare e che è costantemente condizionato dalle emozioni e dai sentimenti che segnano la vita dei nostri figli.
"Sarebbe sbagliato credere che questi ragazzi che sono stati sballottati qua e là andranno poi bene a scuola. Sono pieni di ansie che impediscono loro di concentrarsi a lungo. Aiutateli a fare del loro meglio, ma abbassate le vostre aspettative. Molti di questi bambini stanno ricevendo più informazioni di quanto siano capaci di elaborare sotto forma di esercitazioni o compiti." Nancy Newton Verrier, La ferita primaria. Comprendere il bambino adottato, Saggiatore (2007)
La scuola è un'esperienza centrale nella vita di tutti i ragazzi, basta pensare alla quantità di ore che vi trascorrono: è il luogo di confronto con i coetanei (i pari), con gli insegnanti (gli adulti) e con l'istituzione (le regole). Il bambino adottivo deve continuamente dimostrare agli altri di essere uguale, pur sentendosi diverso. Non è facile vivere costantemente in stato di allerta; senza pensare ai nuovi doveri che lo attendono a casa, primo tra tutti i compiti, che spesso si traducono in una fonte di nuova ansia per tutta la famiglia. Fermiamoci un attimo a pensare a quante pressioni sono sottoposti i nostri figli: a casa, a scuola e anche nelle attività extrascolastiche. Quanti sono gli insegnanti che conoscono questa realtà?
Una mamma adottiva, insegnante, impegnata nel lungo lavoro di sensibilizzazione dei colleghi sulle tematiche dell'adozione, scrive, parlando di un ragazzino particolarmente vivace, "(...) solo l'insegnante di educazione motoria, con molti anni di insegnamento alle spalle, si è reso conto della peculiarità del bambino… ma subito dopo ha affermato che, visti i problemi che questo ragazzino gli creava nell'ora pomeridiana di sport oltre l'orario, per la prima volta nella sua carriera lo avrebbe escluso dall'attività". E' un esempio illuminante: il lungo apprendistato gli permette di capire "la peculiarità del bambino" ma non riesce a "gestirlo" e opta per l' esclusione!
"Forse un giorno qualcuno escogiterà un sistema per arrivare a questi giovani studenti con metodi di insegnamento diversi, così che la loro ansia non li paralizzi più e il loro potenziale intellettivo possa realizzarsi. Nel frattempo, sarebbe utile che gli insegnanti non mandassero questi bambini fuori dalla classe a causa del cattivo comportamento o della disattenzione. Questa è una forma di rifiuto e riesce solo ad alzare il livello di ansia e a rafforzare la loro convinzione di essere cattivi e pieni di difetti. Quando un bambino si comporta in maniera inappropriata, un metodo efficace consiste nel mettergli una mano sulla spalla e dire qualcosa come: -Sembra che tu stia passando un momento difficile. Perchè non ti riposi un attimo (oppure vai a bere un bicchiere d'acqua o a sederti sulla seggiola a dondolo ...finchè non ti senti meglio e sei pronto a riprendere il lavoro?-. Il riconoscimento dei sentimenti del bambino, piuttosto che una critica del suo comportamento, ha su di lui un effetto calmante e positivo. Anche se deve stare isolato in aula, è sempre meglio che mandarlo fuori (respingendolo). Tutti quei compiti a casa sono veramente necessari o sono un modo per tenerli occupati? E' importante essere onesti e dare ai bambini ansiosi solo quel carico di lavoro che possono svolgere". (op.cit)
"I protocolli e le carte d'intenti sono solo il primo fondamentale passo per la tutela dei bambini adottati (su questo tema vedi post martedì 7 febbraio 2012 http://adozionescuola.blogspot.com/) ma devono necessariamente essere intrecciati e sostenuti da una formazione degli insegnanti e dei dirigenti, in modo che ognuno acquisisca la sensibilità necessaria verso la tematica dell'adozione. Credo che la scuola diventi momento cruciale per l'osservazione (che dovrebbe essere quasi "clinica") del comportamento dei bambini adottati". E' ancora la mamma adottiva e insegnante che scrive (il rimando al blog è nostro) e noi siamo d'accordo con lei. Non è certo compito della scuola curare il trauma degli adottati ma la scuola e la famiglia possono aiutare questi bambini a gestire le loro difficoltà e a tenere sotto controllo l'ansia e i sentimenti più distruttivi (collera, rabbia, vergogna, disperazione, ecc.).
"C'è anche da chiedersi dove arriva il compito della scuola", è la domanda che ci pone la Dott.ssa Botta, con riferimento, in particolare, alle fasce di età più adulte (quelle più problematiche e ad alto rischio). Azzardiamo una nostra risposta. Il ragazzo adottato non è un malato, è un ragazzo ferito, un "reduce di guerra": la scuola non può ignorare i suoi sentimenti. Quando noi scriviamo che" in Ticino stiamo iniziando un lavoro nella scuola ponendo l'accento sull'importanza dell’ascolto della sofferenza e della solitudine dei bambini adottati" intendiamo parlare di questo. Riconoscere le difficoltà dei nostri figli, dare un nome ai loro sentimenti, parlare delle loro e delle nostre ferite non vuol dire fare dei nostri figli dei diversi, loro sono dei diversi, così come io che scrivo, mamma adottiva, sono diversa dalla mamma di nascita dei miei figli, sono la mamma che li aiuta a crescere ma non sono la sola mamma! Occorre un po' di coraggio per parlare di "diversità", "trauma", "ferite", "difficoltà","omogeneità di comportamenti". Non parlandone aiuteremmo meglio i nostri figli? Sono sicura di no, perchè è proprio dall'accettazione della diversità che è iniziato il nostro percorso di crescita insieme ai nostri figli.
Certo non tutti i problemi cognitivi e comportamentali derivano dall'adozione ed è chiaro che la riuscita scolastica dipende anche e soprattutto dalle risorse personali del bambino/ragazzo e dalla sua capacità di utilizzarle al meglio. Ma perchè dobbiamo avere paura ad affermare che i nostri figli hanno dei comportamenti molto simili, indipendentemente dal modello educativo utilizzato dalla famiglia e che tali comportamenti possono essere descritti e spiegati agli insegnanti, agli amici, ai parenti, a tutti coloro che entrano in relazione con loro?
Il mancato riconoscimento della diversità può portare negli anni (di solito all'ingresso nella scuola media o, in alcuni casi, quando vi arrivano, alle superiori) a dei problemi ancora più difficili da gestire, soprattutto quando si dà per scontata l'acquisizione di regole e comportamenti. A questo punto il ragazzo, diventato ingestibile, corre veramente il rischio di essere considerato "malato" e la medicina ancora più pericolosa della malattia. Una diagnosi di "personalità limite o bordeline" toglie ogni speranza e ogni futuro.
Detto questo, partire dalla differenza tra figli/allievi adottivi e figli/allievi biologici (non tutti i genitori adottivi amano il temine biologico: c'è chi preferisce naturale, di nascita o altro, ma noi da tempo abbiamo deciso di non lasciarci coinvolgere in queste disquisizioni) ci sembra un buon inizio, se non altro utile; e altrettanto utile dialogare con la scuola per far conoscere "la straordinaria omogeneità di problemi comportamentali dei nostri figli". E poi ognuno faccia il suo mestiere. "E' importante non contrapporsi -scrive un'operatrice specializzata nella prevenzione e nel trattamento dei disturbi del linguaggio dei bambini- uscire dalla bolla della propria formazione ma continuando a fare solo la propria professione (...). Penso ad un mosaico dove ogni professionalità apporta il suo tassello (...).Siamo fortunate, c'è un gran dibattito da tempo sull'adozione e noi ci siamo dentro. L'adozione è complessa, per questo si prospettano tante difficoltà e sfaccettature, per questo il percorso di necessità è complesso e meno male...".
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