Si è detto e scritto molto sulla dignità e la parità della
condizione omosessuale e sul diritto alla genitorialità delle coppie gay, non
altrettanto sul diritto dei bambini di conoscere le proprie origini biologiche,
di crescere in una famiglia preparata ad accoglierli e di essere sostenuti da
una società che sa mettere in atto tutte le risorse necessarie per aiutarli a
lenire le ferite e diventare adulti onesti e responsabili.
Da anni cerchiamo, purtroppo con scarsi risultati, di
sensibilizzare le istituzioni sulla specificità della condizione adottiva e
sulle misure di aiuto e sostegno che dovrebbero essere offerte dalla scuola
pubblica e dal mondo del lavoro. Il dibattito sulla genitorialità omosessuale ci
preoccupa perché raramente è accompagnato da un serio esame della realtà
adottiva.
Abbiamo ampiamente spiegato che l’ amore (eterosessuale,
omosessuale o di un genitore single) non basta a sanare le ferite legate alla
perdita e all’abbandono. Il problema è sempre quello della carenza della formazione
e dell’ inadeguatezza del sostegno a chi decide di adottare. Concentrare il
discorso sul diritto alla genitorialità della coppia omosessuale distoglie l’
attenzione dai veri problemi, tra cui quello della perdita e dell’ identità. Perdita
dei genitori biologici, nel caso dell’ adozione; perdita del padre biologico (ridotto
a semplice fornitore di seme) o della madre “fattrice” nel caso della maternità
surrogata.
Su “Avvenire” del 17 febbraio una figlia adottiva, oggi madre
biologica e madre adottiva scrive:
In
tutto questo dibattito egoistico, egocentrico e disumano, a cui sto assistendo
impotente in queste ultime settimane, manca a mio avviso la voce e l’ opinione
di chi “subisce” (solitamente in senso positivo) un’ adozione. Trovo che si
stia banalizzando tutto e che il concetto che si vuol fare digerire con
facilità ai più “ignoranti” che non vivono in prima linea e in prima persona
questa realtà sia che basti l’ amore. (…) Tu coppia etero sterile o infertile
hai tanto amore da donare così come ce l’ ha sicuramente anche una coppia gay, ma
il centro del problema non è l’ amore e nemmeno il fatto che potrebbe darsi (ne
dubito) che un bambino che cresce in un nucleo famigliare gay non manifesti problemi
di identità durante l’ adolescenza. Il nodo della questione è la storia
personale, la ricerca delle proprie origini e l’ identificazione che trovo
personalmente già essere nodi cruciali ed estremamente delicati da gestire da
parte di un figlio adottivo che cresce in una famiglia adottiva etero,
figuriamoci in una omoparentale. Che storia è la mia? Di chi sono figlio (o
figlia) davvero? Perché mi hanno voluto (a tutti i costi) adottare o peggio
ancora far nascere utilizzando il seme di un donatore “anonimo” (…) Sono nato (
o nata) in un utero in affitto perché così tanto e amorevolmente ed
egoisticamente desiderato dai miei genitori gay? Chi sono io? Da dove vengo?
Questi sono dei macigni mentali che questi bambini dovranno gestire in
eterno(…)”
Domande importanti, ferite ancora aperte.
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