Attaccamento,
trauma e 'il circolo della sicurezza:
applicazioni
nell'ambito dell'adozione e dell'affido
Robert Marvin
psicologo e ricercatore. Direttore della
'The Ainsworth Attachment Clinic e del 'Circle of Security Network' e
professore emerito
Milano, 13 maggio 2017 Aula Magna Istituto "B. Cavalieri"
I traumi dell’attaccamento
I bambini traumatizzati ci mandano dei
segnali. Un buon genitore è colui che è in grado di leggere correttamente, nei
comportamenti dei figli, i loro bisogni
e sa rispondere in modo appropriato. Ciò che conta è la relazione genitore-figlio:
questa è la chiave per sviluppare la sicurezza e l’auto-regolazione nei bambini
traumatizzati (bisogna evitare di ricorrere a strumenti di controllo sui
figli).
Il bambino impara più dall’interazione con
i genitori che dalle loro istruzioni e raccomandazioni. Egli cerca nei genitori una base sicura: amore e
protezione, anche quando sbaglia. Attraverso l’empatia i genitori
possono aiutare i figli a regolare le loro emozioni e dunque i loro comportamenti, a elaborare
strategie e diventare indipendenti.
Le principali aspettative del bambino nei confronti dei genitori:
Mi devi guardare le spalle
Devi essere felice di stare con me
Mi devi aiutare (ma devi lasciarmi fare da
solo)
Devi divertirti con me
Il circolo corretto della sicurezza si svolge così:
Accoglienza
Protezione
Conforto
Allegria reciproca
Lettura delle emozioni (aiutare a dare un
nome alle emozioni quando è necessario)
Sviluppo dell’attaccamento (legame emotivo intimo con chi si prende cura del
bambino/”caregiver”)
Il bambino nasce con un comportamento di
attaccamento:
prima fase - dalla nascita fino a 6-8 settimane - bisogno
intenso, senza discriminazione
seconda fase - da 6-8 settimane a 1 anno - attaccamento con
discriminazione
terza fase - da 1 anno a 4 anni - attaccamento consolidato,
impara a staccarsi
quarta fase - dopo i 4 anni - attaccamento adattato in base allo
scopo
Dopo 1 anno il bambino può avere problemi
di attaccamento anche gravi se non ha avuto un “caregiver” sano. I traumi si
trasmettono inconsapevolmente da una generazione all’altra attraverso la
genitorialità.
Modelli di legami (interazione)
Organizzati e sani: i bambini sono più autonomi; hanno reazioni adeguate
con i pari e gli adulti; sono capaci di autoregolare le proprie emozioni,: sono
più motivati e curiosi a scuola; riescono a risolvere i problemi e i conflitti.
Disorganizzati e ad alto rischio: i bambini hanno comportamenti asociali; hanno
difficoltà a regolare la loro emotività e i loro comportamenti; hanno una
scarsa abilità comunicativa; manifestano problemi di comportamento distruttivo;
mostrano bassa curiosità in campo scolastico e motivazionale.
In un circolo disorganizzato della
sicurezza il bambino lancia un segnale distorto. Si tratta di comportamenti
“evitanti”: il bambino non mostra di essere confortato dal genitore: lo ignora.
Lotta contro ogni tentativo di riflessione perché ciò lo fa soffrire.
Di fronte all’ansia è importante
rassicurare sempre. Attenzione: capita di equivocare un segnale distorto e, ad
esempio, interpretare per indipendenza un comportamento evitante del bambino,
attraverso il quale egli inibisce i suoi bisogni e le sue emozioni. Dice “posso
farcela da solo, non ho bisogno di nessuno” e lo fa in modo inconsapevole.
Anche l’aggressività è un segnale per dire “mamma ho bisogno di te e tu non
rispondi”. E’ un segnale distorto che spesso viene catalogato come
“disubbidienza, aggressività…
Disorganizzazione nell’infanzia
In età infantile viene meno la strategia
di attaccamento perché il genitore è inadeguato: è spaventato lui stesso o
spaventa. Se il genitore collassa (rinuncia al suo ruolo), perché ha paura per
il bambino, è un trauma, tanto quanto il genitore che abbandona il bambino.
Disorganizzazione in età scolare e oltre
I genitori adottivi o affidatari possono
correggere un attaccamento disorganizzato se sono in grado di leggere i segnali
distorti del bambino. Non è il bambino che deve guidare il cambiamento ma il
genitore, supportato a livello psicologico. I genitori devono essere aiutati
e istruiti per primi perché sono loro
che vivono quotidianamente con il bambino. Solo in seguito lo psicologo si
prenderà cura del bambino (il bambino va
dallo psicologo forse una volta alla settimana ma sette giorni su sette,
ventiquattro ore al giorno, vive in famiglia!) Con due ore alla settimana per
dieci-dodici incontri si possono ottenere già dei buoni risultati, invece senza
alcun supporto si rischia di andare avanti anni e anni senza risultati.
Effetti della disorganizzazione sulla
generazione successiva
Attaccamenti insicuri e disorganizzati
sono associati, in età adulta, ad una genitorialità problematica e vengono
trasmessi alla generazione successiva.
Il problema non è il trauma ma se esso è
stato risolto! Il processo di guarigione da traumi dell’attaccamento
non si completa mai del tutto. E a volte le cose non vanno come speriamo.
Il trauma irrisolto del genitore è la chiave
per comprendere i traumi dell’attaccamento dei figli.
Ferite e traumi
Si pensa che la separazione dai genitori
all’età di 1 o 2 anni non provochi ferite. Non è così: si crea un trauma
psicologico che si manifesta in disturbi comportamentali più avanti. I genitori
biologici e adottivi svolgono un ruolo essenziale nella guarigione dei traumi
dell’attaccamento dei figli. Devono mettersi nella condizione (preparandosi,
facendosi aiutare) di essere in grado di interpretare i comportamenti del
bambino, leggere i segnali che lancia, e sapere come interagire, quali prassi
scegliere per favorire la guarigione. Naturalmente i servizi sociali devono
poter fornire il supporto necessario per sviluppare le giuste strategie:
lettura dei comportamenti e relative misure da applicare. Evidentemente occorre
valutare se è più grave lasciare il bambino con i suoi genitori biologici.
Nel collocamento del bambino è
fondamentale la verifica professionale della famiglia affidataria o adottiva.
Si dovrebbero fare dei test per valutare come si comportano per riparare le
situazioni di inquietudine. La valutazione deve comprendere anche la capacità
dei servizi sociali di fornire il supporto adeguato alle famiglie. Bisogna
anche fare attenzione a non far subire al bambino più collocamenti o ad avere
più persone che si prendono cura di lui, altrimenti non potrà sviluppare un
adeguato attaccamento. In ogni caso i genitori biologici, affidatari o
adottivi non devono perdere tempo! Le esperienze emotive correttive sono la
chiave del recupero. I figli cresciuti in famiglie “sicure” sono in grado di
trovare una propria strategia vincente nella gestione dei traumi.
Come aiutare le famiglie
“L’auto-osservazione”, la visione
del video di se stessi insieme al
proprio bambino, è una buona tecnica per valutare il tipo di interazione
stabilita (sicura o insicura). Attraverso questo approccio il genitore sviluppa
le sue abilità di osservazione, le sue capacità riflessive ed empatiche nei
confronti del figlio. In questo modo riesce a capire quali sono i comportamenti
che il bambino usa per comunicare i diversi bisogni e se la comunicazione
avviene in modo diretto o distorto. Si rende conto, altresì, del tipo di
risposta che lui è stato in grado di dare e che cosa provava nel rispondere a
quel particolare bisogno del figlio.
In generale tutti i “caregivers”
migliorano imparando a leggere i segnali dei propri bambini e, ad un certo
punto, tutti i “caregivers” rimangono bloccati, probabilmente per esperienze difficili
legate al loro vissuto. A questo punto inizia la fase della psicoterapia.
Tutti i genitori hanno bisogno di
confrontarsi l’un l’altro. “Noi non
vediamo le cose come così come sono, ma le vediamo per come siamo noi”
(Talmud). Lo stato mentale e i miei sentimenti del momento influenzano la
mia percezione delle cose che sto vivendo in quel momento. Questo si può
riflettere sulla interazione con mio figlio e causare un fraintendimento, una
lettura distorta dei segnali. Se siamo ansiosi, paurosi, arrabbiati…reagiremo
di conseguenza!
Ecco l’importanza di
1.
aiutare i genitori
a riflettere su come il loro vissuto, i loro modelli operativi influenzano le
opinioni che essi hanno dei comportamenti e dei bisogni dei propri figli;
2.
offrire loro
gli strumenti per comprendere che il modo in cui percepiscono un evento può
essere influenzato dal loro attuale stato mentale.
Esempio :Il bambino piange e mi cerca.
Interpretazione numero 1: ha bisogno, lo devo consolare.
Quando piangevo e avevo bisogno, venivo
consolato e abbracciato. Risposta: vado, lo abbraccio, lo consolo.
Interpretazione numero 2: è arrabbiato con me.
Nell’infanzia, quando piangevo e avevo
bisogno, non venivo consolato e avevo l’impressione che i miei genitori ce
l’avessero con me. Risposta: mi dà fastidio, deve smettere.
Occorre aiutare i genitori ad essere più
sicuri, mettere a posto il loro passato e guarire. Non per forza un genitore
ansioso ed evitante non è adatto a fare il genitore; va solo aiutato a stare
bene ed entrare nella sua genitorialità.
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