Sono partita per Bologna venerdì mattina presto, volevo abbinare il meeting con una visita alla città peraltro incantevole nella sua ricchezza artistica e storica. Ho pranzato con un ragazzo conosciuto sulla pagina facebook dell'evento e dai dialoghi abbiamo scoperto di avere tantissime cose in comune (mestiere, origini, età). La sua storia è oltre tutto di particolare interesse perché non solo è figlio adottivo, è pure padre adottivo di una bimba di 2 anni (non era un caso isolato fra i partecipanti). Durante l'incontro ufficiale abbiamo poi conosciuto un altro ragazzo con alle spalle un passato, come tutti gli iscritti, fuori dalle righe. Dal confronto delle nostre esperienze è emersa una molteplicità di attitudini verso l'adozione, la ricerca delle origini, l'integrazione, a volte diametralmente opposte. Per fare un esempio, con il primo ragazzo condivido il completo disinteresse verso il paese d'origine, che ci sembra tanto alieno sotto tutti i punti di vista. Il secondo ragazzo, invece, mantiene tuttora contatti con il suo padre biologico che è riuscito a ritrovare dopo varie ricerche, e sta tuttora cercando le sue sorelle, adottate pure loro.
Mi soffermo sul momento più significativo della giornata, che è stato il workshop, a cui erano state dedicate un paio di ore (troppo poche secondo noi protagonisti). In base alla preferenza espressa fra tre diverse tematiche (quanto l'adozione ci condiziona nella nostra vita, la ricerca delle origini/genitori biologici, identità etnica) siamo stati divisi in gruppi, dove a turno ci siamo presentati. Sembrava una classica riunione di un qualsiasi gruppo di auto-aiuto, coordinata da una psicologa. Seduti in cerchio, giovani e meno giovani hanno colto l'occasione per esternare le loro difficoltà, incitamenti e altre riflessioni, anche di natura molto personale, spesso dolorose e complesse. Io ho voluto riallacciarmi a quanto esposto da un ragazzo, con cui sono tuttora in contatto, sul tema dell'abbandono. Penso che nella costellazione di problematiche legate all'adozione, l'abbandono sia quello con i risvolti più traumatici. Ho recentemente concluso un ciclo psicoterapico, da cui ho avuto enormi benefici in termini di equilibrio e accettazione di me stessa, molto focalizzato sul momento di quel distacco che è nel contempo morte e rinascita. Ho trasmesso del materiale su questa specifica terapia a quel ragazzo con cui sento di condividere uno stesso percorso di sofferenze.
Correva un'energia incredibile in quel locale: tanti hanno risentito il bisogno di esternare i loro sentimenti pubblicamente proprio perché certi che le loro parole venivano recepite da orecchie "che sanno".
Correva un'energia incredibile in quel locale: tanti hanno risentito il bisogno di esternare i loro sentimenti pubblicamente proprio perché certi che le loro parole venivano recepite da orecchie "che sanno".
Sono stata pure avvicinata dal responsabile di un'associazione che promuove il riallacciamento con il paese d'origine, organizzando incontri, viaggi, aiuto alla ricerca dei parenti. Spero di poter approfondire le implicazioni del mio essere adottata anche con loro, pur non nutrendo, come detto, alcun interesse per il mio passato familiare/culturale/geografico.
L'aspetto che ritengo più arricchente sul piano personale è sorto dopo il meeting, vale a dire nelle relazioni che ho potuto instaurare con alcune persone con le quali ho sentito una corrente speciale, una comprensione oltre il verbo. Sul piano collettivo, sono convinta che simili iniziative abbiano il grande pregio di far cadere quello che per tanti adottivi (e non) resta un tabù. Credo infatti che un fenomeno debba diventare banale a livello sociale perché possa essere serenamente accettato (al pari dei matrimoni gay, dei divorzi, ecc.). Parlare, far conoscere, diffondere sono vie per raggiungere quell'obiettivo.
campionisimona@yahoo.it
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