Come siamo cambiati
insieme
Da alcuni mesi il nostro blog è fermo. Crisi? Stanchezza? Voglia di mollare? No, solo il bisogno di riflettere, di fermarci un attimo e decidere come andare avanti.
Noi siamo un’
associazione atipica: non ci occupiamo della formazione delle coppie che
decidono di adottare e non abbiamo alcun legame con gli uffici cantonali
preposti a tale compito.
I genitori ci
contattano quando si trovano in difficoltà e non sanno più dove sbattere la
testa: i figli sono diventati ingestibili e tutta la famiglia ne soffre. Ma noi
non siamo né psicologi, né psicoterapeuti. Possiamo solo offrire la nostra
esperienza.
Sette anni fa, quando
abbiamo incominciato ad incontrarci e a raccontarci le nostre storie, anche noi
eravamo disperati e alla ricerca di risposte. Dove avevamo sbagliato, perché i
nostri figli erano così diversi dai loro coetanei, come potevamo aiutarli?
Oggi, ripensando alla quantità di cose che ignoravamo e alla nostra ingenuità,
ne sorridiamo insieme.
In questi lunghi anni
molte cose sono cambiate. Innanzitutto i nostri figli sono cresciuti: c’è chi
se n’è andato di casa e chi è ritornato; chi ha messo al mondo dei figli e chi
ha rifiutato la maternità; chi ha corso il rischio di distruggere la propria
vita e chi ha accettato di rimettersi in gioco.
Anche noi siamo
cambiati: un po’ per volta abbiamo imparato a tenere a bada le nostre emozioni;
ad affrontare i problemi senza esserne travolti; ad ascoltare; ad accettarci e
ad accettare e valorizzare le diverse abilità dei nostri figli; a fidarci e a
correre il rischio di affidarci a loro. Forse abbiamo finalmente capito cosa
vuol dire “imparare a vivere a proprio agio nel disagio”.[1]
Questa crescita è
avvenuta per gradi, grazie al lavoro comune, al sostegno reciproco, alle continue
letture e agli incontri con professionisti preparati e curiosi di confrontarsi
con le nostre difficoltà e i nostri bisogni.
Quello che vogliamo
continuare a fare è riflettere insieme, aiutarci a vedere i problemi da una
diversa prospettiva: non vogliamo più “camminare contro vento”[2].
“Sono anni che provo
(con ben scarsi risultati) a prevenire o educare o ‘salvare’. Anni che reagisco
con insofferenza o con indifferenza (si fa per dire...) alle sue provocazioni.
Anni che gli accollo il peso dei suoi comportamenti, che lo faccio sentire un
“mostro” (come dice Taransaud) dicendogli che lui è buono e può cambiare. Che
cerco di portare razionalità nel suo caos. Io a lui, ma senza di lui, senza la
sua partecipazione reale.
Cammino contro vento e
il vento è lui; e più cammino contro, più lui soffia.
Ora ho capito (forse e
spero): ora mi siedo accanto, ad ascoltare. Con partecipazione, con empatia.
Capisco cose che non ho mai voluto ascoltare fino in fondo, ritenendole senza
senso, capricci, manie. Riesco a non calpestare il suo territorio, ma a
entrarci con rispetto perché è il suo, anche se è lontano dal mio. Soprattutto
ora riesco a sentire profondamente che in ogni suo atto lui cerca
rassicurazione; quando la sente, quando si sente accolto, la sua rabbia, la sua
aggressività si sciolgono e abbiamo di nuovo un contatto che ci fa andare
avanti. E stiamo meglio tutti”.
Purtroppo questo
percorso non è sempre stato capito e sostenuto dalle nostre istituzioni e
spesso abbiamo avuto l’ impressione di parlare una lingua diversa, perché
diverso era il nostro modo di parlare dell’ adozione. Ci è pesata la
solitudine, la mancanza di una figura di riferimento con cui dialogare nel
corso degli anni: quando i figli diventano grandi e spaventati dallo loro
stessa rabbia.
Non si dovrebbe mai
dimenticare che i bambini adottati sono bambini maltrattati e abusati[3] e con
l’età possono sviluppare patologie anche gravi.
Per un genitore alle
prime armi non è facile accettare tutto questo. Ecco perché è indispensabile
una preparazione all’ adozione fatta da specialisti, in grado di spiegare ai
neo genitori i potenziali effetti a breve, medio e lungo termine dei traumi subiti dai loro figli.
Chi ha figli grandi sa
cosa vuol dire fare i conti con il problema delle dipendenze, dei disturbi
psicologici, anche gravi, che minano i rapporti all’ interno e all’ esterno
della famiglia o delle disabilità cognitive. Eppure non esistono dati, non
esiste una mappatura del disagio.[4]
Si evita di affrontare
il problema, sostenendo che i ragazzi in grave difficoltà si contano sulla
punta delle dita, dimenticando la gravità della loro sofferenza e confermandoli
nella convinzione di essere invisibili e di non avere alcun valore! Si
continua a non investire nella prevenzione e ad intervenire quando la
situazione è fuori controllo e le famiglie sono allo stremo.
Ecco allora che i
costi sociali aumentano in forma esponenziale e cresce anche l’incomprensione e
l’insofferenza di una buona parte dell’opinione pubblica che non si capacita di
come dei ragazzi così ‘fortunati’ possano contestare la famiglia e la società
che li ha accolti.
Invece di curare il
disagio delle famiglie e il loro immenso dolore, si interviene quando è troppo
tardi e si finisce solo per tamponare delle emergenze, spesso ricorrendo a
mezzi coercitivi: l’intervento della polizia, il ricovero coatto, l’
ospedalizzazione, il ricorso alla giustizia minorile, il carcere: nuove forme
di maltrattamento inflitte a ragazzi già così profondamente feriti!
Giustamente gli
operatori che seguono la coppia nel periodo immediatamente successivo all’
adozione pongono l’accento sulla necessità di creare e consolidare il nuovo
legame famigliare, favorire la socializzazione e il buon inserimento a scuola.
Ma questo sostegno viene presto interrotto e i genitori si trovano
completamente soli, al termine della prima tappa del loro percorso, quella
solitamente meno conflittuale. Non possono fare altro che navigare a vista e
quello che sembra funzionare un giorno, il giorno dopo, non si sa perché, non funziona
più.
Il percorso di
crescita dei nostri figli è molto
lungo e pieno di pericoli: la
convinzione di essere onnipotenti li espone a dei grossi azzardi. Sono grandi
ma non hanno il senso del limite e sembrano ignorare il rapporto causa –
effetto. La ricerca dell’ identità (di una tra le tante in cui si smarriscono)
non segue percorsi lineari: possono restare per anni in balia del caos e
rischiare di perdersi.
Diventa allora
importante per i genitori sapere che gli
effetti a lungo termine dei traumi possono restare silenti per anni. La
loro riattivazione avviene all’ improvviso, apparentemente senza ragione,
minando il loro precario equilibrio e la capacità di tenuta nelle relazioni
interpersonali, negli studi e nel lavoro. Ragazzi, cosiddetti “primi della
classe”, improvvisamente prendono a calci le porte, minacciano di andarsene o
si chiudono in un mutismo rabbioso. Le forme di comportamento disorganizzato
della prima infanzia ritornano a guidare il loro presente
I nostri figli
spaventati hanno bisogno di sicurezza; soffrono e ci fanno soffrire. Dietro
alla loro arroganza c’è ancora il bambino ferito che chiede un abbraccio.
“Benché ora vivano in
una situazione totalmente diversa rispetto al passato, le loro reazioni sono
rimaste le stesse. Il nostro affetto spesso li spaventa, perché del tutto
sconosciuto e le nostre offerte di aiuto vengono sdegnosamente rifiutate,
perché lette come un nostro ripetuto tentativo di guidare la loro vita (…) Sono
comportamenti che facciamo fatica a capire e che facilmente giudichiamo
illogici, distorti, caotici ma che riflettono un modo diverso di leggere la
realtà e di pensare”[5]
1. David Taransaud, Fantasie di onnipotenza e sé feriti. Come entrare in sintonia, empatizzare e lavorare con la rabbia degli adolescenti, Milano 16 marzo 2013
2. Cfr. sito www.spazioadozione.org voce Testimonianze: Lavorare su noi stessi con l'aiuto di qualcuno di cui ci fidiamo
3. Congresso Curare l'adozione, requisiti di qualità per gli interventi a favore dei minori adottati, organizzato a Milano il 27 settembre 2013 dal CISMAI (Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l'Abuso dell'Infanzia).
4. In Ticino non esistono statistiche sull'argomento. Ci risulta che negli ultimi anni è stato inviato un questionario ad alcune famiglie adottive per raccogliere informazioni sulla loro esperienza. Purtroppo molti genitori con figli grandi non sono stati coinvolti e i dati raccolti, benché parziali, non sono stati resi pubblici.
5. Cfr. sito www.spazioadozione.org voce Testimonianze: L'adozione oltre confine. L'emergenza porta alla nascita di un' associazione
Solo se sai puoi fare meglio
Il Centro di Terapia
dell’Adolescenza (CTA) di Milano ha organizzato lo scorso febbraio il seminario
“Adozione e percorsi di sviluppo. Temi clinici e strategie di intervento”
condotto da David Brodzinsky. Il
relatore, esponendo le proprie convinzioni, offre una panoramica completa delle
ultime ricerche in campo internazionale.
Ringraziamo il CTA per
il lavoro di continuo aggiornamento offerto agli operatori e ai genitori. Le
slides proiettate durante l’ incontro costituiscono il filo conduttore della
nostra sintesi.
David Brodzinsky, Adozione e percorsi di sviluppo.
Temi clinici e strategie di intervento.
Milano, 1 febbraio
2014
L’ADATTAMENTO ALL’
ADOZIONE, LE PROBLEMATICHE PIÙ COMUNI E LE RAGIONI SOTTESE ALL’ EMERGERE DELLE
DIFFICOLTÀ
Eterogeneità della
famiglia adottiva
Differenze da
considerare:
· Adozione nazionale o internazionale
· Età del bambino ed esperienze precedenti
· Questioni cliniche
· Presenza o assenza di figli biologici
· Contatti o informazioni con la famiglia
biologica
Come possiamo vedere non c’è una famiglia adottiva tipica. Vi sono
molte variabili e secondo queste vi possono essere più o meno problemi.
Rischio psicologico
nell’ adozione
Vi sono due indirizzi
riguardo alla visione dell’adozione:
· Beneficio nell’ adozione
· Rischio nell’ adozione
Se il genitore biologico non vuole il figlio, allora l’adozione è
un bene. Sempre meglio della situazione in cui vive. Ma noi dobbiamo offrire la
speranza che faremo la differenza nella vita di questi bambini. Bisogna, però
essere consapevoli che forse non tutto sarà recuperato.
La ricerca dice che i figli adottivi hanno più probabilità di
accedere ai contesti clinici rispetto ai non adottati (le statistiche americane
dicono da 2 a 5 volte maggiore). Forse perché i
genitori adottivi sono più ricchi, ma probabilmente anche perché per adottare,
si passa attraverso degli specialisti e nel momento del bisogno si fa
riferimento a questi più velocemente.
Vi ricorrono più facilmente le famiglie affidatarie che poi
diventano adottive. Invece tra adozione nazionale e internazionale non c’è
differenza.
Scoperta chiave nella
ricerca
Prima della scolarizzazione non ci sono molti problemi con il
bambino adottato. Ma verso i sei anni cominciano le difficoltà. E` in questo
momento che il bambino capisce cosa vuol dire essere adottato. Quando
capiscono come nascono i bambini, si pongono molte domande. Hanno un dilemma:
la famiglia che mi ha “fatto” non è con me. Allora chi è la mia famiglia?[6].
Gli si racconta che i suoi genitori erano poveri o soli e
inizialmente il bambino accetta queste spiegazioni. Ma poi crescendo le mette
in discussione: perché non hanno cercato un lavoro? Perché la mia mamma non si
è sposata?...
Non comprendono la complessità psicologica della povertà o delle
altre problematiche. Non riescono a capire che non è tutto così semplice.
Gli si è poi spiegato che però ha guadagnato una nuova famiglia,
che ora sta bene,…Ma per lui rimangono comunque molti perché sul fatto che la
sua mamma non l’ha tenuto.
E` per questo che non si può mai dire di avere un’adozione chiusa:
nella mente del bambino c’è sempre la figura del genitore biologico. Se
non ha informazioni concrete, riempirà comunque questo buco con le sue
fantasie.
Nell’ adolescenza i problemi si accentuano. Comincerà a riflettere
a cosa la sua mamma biologica penserà, se lo vorrà cercare,…
Nell’ età adulta la differenza tra adottati e non diminuisce,
anche se gli adottati hanno comunque più problemi di adattamento.
Il ciclo di vita della
famiglia adottiva: l’ impatto dell’adozione sulla relazione genitore-figli
nelle differenti fasi dello sviluppo
Fattori associati all’
adattamento all’ adozione
- Fattori
biologici-genetici
- Fattori prenatali,
rischio intrauterino
- Fattori concernenti
il collocamento precedente, qualità della cura del genitore biologico e altro
- Fattori familiari.
Cura della famiglia adottiva
I bambini adottati provengono spesso da famiglie con problemi
psicologici che geneticamente passano al bambino. Anche la gravidanza ha il suo
ruolo: abuso di alcol, droghe, depressione,…
La maggior parte dei bambini dati in adozione hanno subito questo
tipo di sviluppo prenatale.
Prima dell’adozione cosa ha passato? Orfanotrofio, abuso,
trascuratezza,.. Tutto questo crea dei fattori di rischio. Mina l’
attaccamento, lo sviluppo del cervello,…
Il genitore adottivo può cambiare il fattore genetico e prenatale
secondo come interviene sul bambino. Per questa ragione è importante far capire
alla famiglia come aiutare il bambino in modo di minimizzare i danni dovuti a
questi due fattori.
I fattori ecologici
della famiglia adottiva
La struttura della famiglia adottiva ha un’influenza sul bambino.
E per questo motivo la sua storia è molto importante (sterilità—servizi sociali
per adottare—dover dimostrare di essere dei bravi genitori—arrivo del
bambino—fare riferimento a diversi specialisti--..).
Lavorare con famiglie
che hanno adottato bambini che mettono in difficoltà
La preparazione
pre-adottiva favorisce:
· Conoscenza generale sull’ adozione e sul
bambino
· Empatia su ciò che il bambino ha vissuto
· Attese più
realistiche. Le attese devono essere reali per riuscire ad affrontare le
difficoltà ed evitare delusioni e frustrazioni.
· Miglioramento della capacità genitoriale
· Più informazioni per l’ accesso e il sostegno
ai servizi
Quali sono gli
ostacoli principali a una preparazione efficace dei genitori adottivi?
Ostacoli:
· Nel sistema
· Nei professionisti
· Dei clienti
I tempi di preparazione dei genitori adottivi in genere cominciano
prima e finiscono subito dopo l’arrivo del bambino. Invece dovrebbe essere un
processo continuato: la preparazione pre-adottiva deve seguire naturalmente a
un sostegno post-adozione. Certe domande subentreranno solo dopo l’arrivo del
bambino.
Purtroppo mancano gli specialisti e le strutture affinché ciò
avvenga.
A volte sono i genitori adottivi che fanno fatica ad ascoltare.
Questo a causa di diversi fattori:
· Lutto dell’infertilità non ancora risolto,
perdita di un figlio,.. Ma bisogna essere consapevoli che i genitori non
potranno parlare di adozione con il figlio se loro fanno ancora fatica nella
loro elaborazione.
· La convinzione che “basta solo l’ amore”.
· Sono molto determinati
e hanno già affrontato molte sfide per arrivare ad adottare e a causa di ciò
non voglio essere “distratti” da fattori esterni.
Eventuali soluzioni:
· Creare dei contatti con genitori adottivi più
“anziani”. Spesso è più semplice ascoltare altri genitori adottivi che
degli specialisti.
· Inviarli a gruppi di supporto.
· Informarsi il più
possibile sulla storia del bambino e poi tradurla ai genitori in modo che sia
utile a fornirgli degli strumenti d’intervento riguardo ai vari comportamenti
del bambino. Aiutarli a vedere la connessione tra i
comportamenti del figlio e le sue esperienze passate. Fargli
comprendere cos’è la normalità per un bambino con questo passato. A volte è
molto distante dalla nostra idea di normalità.
Il genitore in questo modo ha una maggiore empatia nei riguardi
del bambino e lo può aiutare meglio. Quest’ultimo impara così piano piano ad
avere fiducia.
Spesso per i genitori
il fatto di rivolgersi a uno specialista è sinonimo del loro fallimento.
Significa che loro non sono stati capaci.
Lezioni dai genitori:
· “Abbiamo imparato a “decodificare” meglio
nostro figlio, alla luce del suo passato”
·
“Abbiamo imparato che è normale non riuscire sempre a mandare via
il dolore dei nostri figli-ma possiamo aiutarli ad affrontarlo”
· “Abbiamo imparato a chiedere aiuto e a
lavorare per trovare il modo migliore per aiutare i nostri figli e rispondere
alle loro domande.”
· “Abbiamo imparato a essere i migliori genitori
per QUESTO bambino”.
· “Abbiamo imparato che
essere genitore può essere difficile, ma anche piuttosto soddisfacente”.
· “Abbiamo imparato che
i bambini possono riprendersi dai loro traumi, ma questo richiede tempo-non si
può avere fretta-e noi non possiamo risolvere tutti i loro problemi.”
ADOZIONE E PERDITA
Esperienze sfavorevoli
infantili ed esperienze traumatiche dei bambini adottati
· Esposizione prenatale alle droghe, all’ alcool
e ad altre sostanze tossiche
· Malnutrizione prenatale
· Stress prenatale
· Deprivazione connessa alla povertà
· Trascuratezza
· Abuso psicologico
· Abuso fisico
· Abuso sessuale
· Esposizione alla psicopatologia dei genitori biologici
· Violenza domestica assistita
· Violenza assistita extra familiare
· Vita in istituto
· Trauma della separazione
· Trauma connesso ai successivi collocamenti
· Trauma sistematico (ad es. collocamenti
pre-adottivi multipli)
· I traumi portano a un impatto fisiologico:
· L’esposizione a stress elevati scatena nel
cervello umano due reazioni principali
· Uno stato d’
iperattivazione, caratterizzato da aumentata vigilanza, emotività, spavento,
irritabilità comportamentale, impulsività
· Uno stato di dissociazione, caratterizzata da
evitamento, insensibilità emotiva, passività o sforzi per fuggire dalla
situazione
· L’esposizione
prolungata a stress elevati (trauma) può alterare sia la struttura, sia il
funzionamento del cervello, producendo pattern cronici d’iperattività o
dissociazione
· Si rimanda alla ricerca di “Early Growth
&Development Study” negli Stati Uniti (che ha seguito longitudinalmente
diverse centinaia di bambini collocati in adozione, le loro mamme biologiche e
i loro genitori adottivi).
· Una deprivazione grave
associata alla vita in istituto e ad altri traumi precoci (inclusa la
depressione della madre biologica e lo stress durante il periodo prenatale)
sono collegate con alterazioni nel:
· Volume celebrale
· Metabolismo celebrale
· Connessione neurale
· Regolazione del sistema limbico (ad es.
amigdala)
· Reattività allo stress neuroendocrino
· Tutte queste alterazioni aumentano le
probabilità di esiti evolutivi negativi a lungo termine.
· L’impatto del trauma inoltre compromette:
· Le capacità di relazione del bambino poiché
danneggia lo sviluppo della fiducia, dell’empatia e della reciprocità
emozionale. I bambini si sentono rifiutati e traditi. Le conseguenze
comportamentali variano dai disturbi dell’attaccamento, come vicinanza
eccessiva o ritiro, ai comportamenti aggressivi e alle reazioni di rabbia.
· L’autoregolazione. Il
trauma altera le abilità del bambino a sperimentare e a modulare le emozioni e
a inibire la tendenza all’ agito.
· Il senso d’identità. Le vittime del trauma si
sentono spesso stigmatizzate e colpevolizzano se stesse per le esperienze
subite. Questo porta a una bassa autostima, sentimenti di colpa e vergogna,
depressione e comportamenti auto distruttivi.
· Il senso di autoefficacia e di padronanza di
sé. Il trauma produce un senso d’impotenza. Il bambino si sente incapace di
proteggere se stesso. I sentimenti d’impotenza spesso portano a sviluppare
intensi sentimenti d’ira e di rabbia, capricci esplosivi, distruttività,
crudeltà verso gli altri.
· La capacita di imparare. Interferisce con la
motivazione e con la capacità di concentrarsi e di mantenere l’attenzione. In
questo modo i processi di apprendimento sono compromessi.
Trauma e attaccamento
·
Le basi biologiche dell’attaccamento sono presenti alla nascita in
termini di sistemi sensoriali integri
· La formazione dell’attaccamento primario
avviene generalmente dopo i primi 6-12 mesi.
· L’attaccamento aumenta e si estende alle altre
persone dopo i primi tre anni di vita e oltre
· L’attaccamento continua a formarsi oltre i
primi anni
· L’attaccamento è guidato dallo sviluppo
cerebrale e viceversa sostiene lo sviluppo cerebrale.
Neuroscienza e
attaccamento
Nella scorsa decade grandi progressi sono stati fatti nella
comprensione delle basi neurologiche dell’attaccamento, così come nell’ impatto
dell’attaccamento sul conseguente sviluppo cerebrale.
Dall’ inizio del terzo trimestre fino al secondo anno di vita,
avviene una grandissima crescita nello sviluppo cerebrale principalmente nell’
emisfero destro. Quest’ultimo controlla le emozioni, la regolazione emotiva e
la comunicazione sociale (tutto ciò è essenziale per l’attaccamento) ed è
dominante sull’ emisfero sinistro durante i primi due anni di vita.
In sostanza i primi due anni di vita rappresentano un periodo
sensibile per lo sviluppo di questa parte del cervello e per lo sviluppo
dell’attaccamento.
Fin dalla nascita il neonato è immerso in un mondo di altri esseri
umani in cui conversazione, gesti ed espressioni facciali sono costantemente
presenti durante le sue ore di veglia.
La comunicazione sociale ed emotiva tra il bambino e il suo
caregiver alimenta lo sviluppo dell’emisfero celebrale destro, favorendo una
migliore regolazione emotiva. Questa è acquisita quando si viene calmati in
momenti di stress e si sperimentano contentezza, gioia e allegria nelle
relazioni (piango----la mamma arriva a consolarmi---si crea un senso di
previsione). Tutto ciò è essenziale per lo sviluppo di un attaccamento sicuro.
In pratica il compito essenziale del primo anno di vita è la
“co-creazione” di un legame di attaccamento sicuro tramite la comunicazione
emotiva tra il bambino e il caregiver. In questo modo si crea
comunicazione tra l’emisfero destro e quello sinistro.
La relazione di attaccamento non solo modella la capacità del
bambino di comunicare con il suo caregiver primario, ma in ultima istanza con
gli altri esseri umani. Le implicazioni di questo riguardano tutto l’arco della
vita.
Parlare del trauma con
i genitori
I genitori hanno bisogno di un racconto onesto e dettagliato
relativo a cosa il bambino ha vissuto, inclusa la spiegazione di come queste
esperienze possono impattare sul bambino nelle diverse aree della vita.
Questa è una parte essenziale sia della preparazione pre-adottiva
sia degli interventi nel post-adozione.
Il messaggio da dare ai genitori è: crescere un bambino “ferito”
non è la stessa cosa che crescere un bambino con una storia ragionevolmente
sana.
E’ necessario rileggere i comportamenti dei bambini in connessione
con la deprivazione, il trauma e la perdita vissuti precocemente.
I bambini possono, e così accade, recuperare dalle precoci
avversità, ma ciò richiede tempo e il recupero non è sempre completo.
I genitori possono fare la differenza. Bisogna comunicargli
speranza associata a realismo e promuovere
aspettative realistiche.
Le sfide di vita della famiglia in adozione
L’adozione rappresenta un vantaggio per i bambini attraverso la
stabilizzazione della loro vita. Essa fornisce stabilità familiare e permette
l’opportunità di uno sviluppo e una crescita più sana di quella che avrebbero
potuto avere altrimenti. Ma presenta al tempo stesso ai figli e ai genitori
delle sfide che possono influenzare l’autostima, l’identità, le relazioni
familiari e l’adattamento psicologico.
Comprendere in che modo gli individui adottati e i loro genitori
fanno fronte alla molteplicità dei compiti del ciclo di vita della famiglia
connessi all’ adozione, è un aspetto cruciale che i professionisti della salute
mentale devono considerare nel lavoro con queste persone.
Le famiglie adottive sono diverse dalle altre famiglie. Devono
fare i conti con:
· L’ infertilità e la perdita/mancanza di un
bambino
· L’ integrazione dei
bambini nella famiglia e la formazione di attaccamenti sicuri. Specialmente se
hanno sperimentato separazioni dalle precedenti figure di attaccamento.
Più il bambino è grande e più questo compito sarà difficile.
· Parlare con i bambini della loro adozione,
della famiglia di origine e delle prime esperienze della loro vita mantenendo
un’atmosfera di comunicazione aperta in merito a queste tematiche.
· Aiutare i bambini a fare i conti con la
perdita connessa all’ adozione.
Inoltre per quel che
concerne le sue origini, devono supportare il bambino in diversi aspetti:
· Supportare la curiosità del bambino e le
connessioni con la famiglia di origine
· Sostenere una visione rispettosa della
famiglia e del patrimonio di origine dei bambini.
E’ molto importante
trasmettergli un rapporto positivo con il suo passato. Fargli comprendere che
ogni genitore vuole essere un buon genitore, ma non sempre ci riesce. Porre
l’accento che c’è differenza tra ciò che si vuole e ciò che si riesce a fare.
Spesso questo a causa di droghe, alcool,…
Dobbiamo ritradurre le
loro storie in senso positivo. Trovare degli aspetti positivi nei loro genitori
biologici.
· Sviluppare e gestire i rapporti con la
famiglia di origine del bambino
· Mantenere le relazioni importanti esistenti
con adulti significativi esterni alla famiglia biologica (ad es. terapeuta,
persone che l’hanno accudito,..)
· Sostenere l’identità adottiva del bambino
· Sostenere l’identità etnica e culturale del
bambino
Tematiche evolutive
legate alla perdita in adozione
Nei bambini collocati precocemente la perdita connessa all’
adozione, emerge gradualmente nel tempo ed è correlata allo sviluppo cognitivo.
Solitamente comincia a emergere tra i 6 e gli 8 anni. Di solito non è
traumatica, sebbene possa creare confusione, ansia, tristezza, rabbia,…
Per molti bambini collocati precocemente l’esperienza della
perdita potrebbe essere abbastanza sfumata e non facilmente osservabile dagli
altri.
I bambini collocati più da grandi sono più inclini a reazioni
acute e traumatiche nei riguardi del collocamento adottivo. Sono
collegate alla separazione dai caregiver con cui essi hanno avuto una relazione
significativa (positiva e/o negativa), così come dai fratelli. Le loro reazioni
alla separazione sono più manifeste, drammatiche e generalmente più impegnative
da gestire.
La relazione tra la
comprensione dei bambini in merito all’ adozione e l’ esperienza della perdita
connessa all’ adozione
I bambini comprendono l’adozione in maniera diversa secondo la
loro differente età.
Sebbene siano generalmente informati circa la loro adozione in età
prescolare, essi possiedono capacità limitate per comprendere a pieno il
significato e le implicazioni che questo ha sul loro status familiare.
E` attorno ai 6-8 anni che i bambini cominciano ad avere un senso
più realistico di cosa significhi l’adozione.
Man mano che i bambini iniziano a capire le implicazioni del loro
status di famiglia adottiva, diventano sempre più sensibili alla perdita
connessa all’ adozione.
Aumenta in loro la rabbia e si chiedono “perché proprio a me? Ogni
bambino deve stare con i suoi genitori!”. Non odiano la famiglia adottiva, ma
non riescono a farsene una ragione.
La natura
multidimensionale della perdita in adozione
· Perdita dei genitori, dei fratelli e dei
fratellastri biologici
· Perdita della famiglia biologica allargata
· Perdita di supporti e caregivers non biologici
(ad es. genitore affidatario, fratelli affidatari, educatori delle comunità,
amici, insegnanti, terapeuti,..). Dobbiamo sempre chiederci chi è stato
importante nella vita del bambino, con chi bisogna mantener un contatto.
· Perdita di un “creatore di significato”, cioè
qualcuno su cui i bambini possono contare per essere tenuti nella mente e
aiutati a capire e dare significato a quanto è accaduto loro. Normalmente i
genitori sono i “custodi” dei ricordi del bambino da piccolo, ma se è stato
adottato ad es. a sei anni non vi sarà nessun custode dei suoi ricordi.
· Perdita di status.
Per i compagni l’essere adottato è bello, affascinante, ma poi, di
fatto, nessuno di loro vorrebbe essere al tuo posto e perciò scendi di un
gradino nello status con i tuoi amici.
· Mancanza di “sentirsi parte” della famiglia
adottiva. Spesso non riescono a fare ciò che i genitori vorrebbero e perciò non
si sentono parte della famiglia.
· Mancanza di stabilità nella famiglia adottiva.
Avere paura che la madre biologica possa venire a prenderli e portarli via.
· Perdita di continuità genealogica
· Perdita delle origini etniche
· Perdita di privacy (adozione transrazziale).
In questi casi è palese agli occhi degli altri che il bambino è adottato.
· Perdita di sé e d’identità. Il bambino sente
come un buco dentro. Una lacuna che non può essere colmata. In molti casi
inoltre non si hanno informazioni sulla famiglia biologica.
Aspetti peculiari
della perdita connessa all’ adozione
La perdita connessa all’ adozione è poco comune, gli altri non
l’hanno e questo accentua i sentimenti di diversità.
Non necessariamente è una forma di perdita permanente. E’ poco
chiara: da qualche parte i genitori biologici ci sono e questa incertezza
alimenta fantasie di ricerca e di ri-unione.
Se inoltre i genitori biologici erano inadeguati, è ancora più
difficile elaborare la perdita. In ogni caso con loro c’è un attaccamento.
La natura volontaria o involontaria dell’abbandono del bambino può
generare sentimenti di rabbia, vergogna, umiliazione, colpa, tristezza,..
L’entità della perdita è pervasiva.
Manca inoltre un supporto e un riconoscimento sociale adeguato
riguardo alla perdita. Le persone faticano a capire il dolore dell’ adottato,
non lo legittimano. Se qualcuno di caro ti muore, hai attorno a te un sostegno
al tuo dolore, ma in questo caso no e ti senti ancora più solo e diverso.
Solo comprendendo il dolore della perdita si potrà aiutare la
persona adottata.
Interventi su identità
e perdita in adozione
· Lifebooks
E’ una rappresentazione simbolica del passato, presente e futuro
della vita del bambino.
Può aiutarlo a mettere un ordine nella sua vita.
Preferibilmente si prende un raccoglitore ad anelli in cui il
bambino inserisce diverse informazioni riguardanti la sua vita: certificati,
foto,… Se dovessero mancare delle informazioni, si può chiedere al bambino di
immaginarsi quella cosa (ad es. se manca la foto della madre, lui la può
immaginare e magari disegnarla o descriverla). Si può anche chiedergli di
scrivere cosa vorrebbe chiedere alla sua mamma.
E’ utile usare un classeur perché è il bambino a decidere dove
cominciare. Man mano che si va avanti nel lavoro s’inseriscono i fogli in
ordine cronologico.
Si può anche creare un libro della storia della famiglia, dove
ogni membro scrive la storia della sua vita. Questo aiuta il bambino a
comprendere che ognuno ha una storia unica e questi diversi percorsi a volte
non sono sempre stati facili. In questo modo capisce che non è lui a rendere la
famiglia diversa, ma ognuno ha un vissuto che arricchisce la famiglia. Lui è
solo un altro aspetto della storia familiare.
La ricchezza sta proprio nell’ insieme dei diversi percorsi.
· Timelines
Sono rappresentazioni grafiche o illustrate dei principali eventi
della vita del bambino. Anche in questo caso aiutano a mettere ordine nella
vita del bambino. Stimolano ricordi ed emozioni e rinforzano le connessioni.
Possono esser parte del lavoro con il lifebook oppure un’attività
separata.
· Rituali terapeutici con la famiglia adottiva
Sono molto efficaci nella terapia familiare. I rituali sono parte
della vita di ciascuno. Ma cosa sono e come si diversificano dagli altri eventi
o situazioni nella vita di una persona?
Un rituale è quando un evento normale diventa speciale. E’ un
evento, un’azione che sostiene la persona in momenti molto forti. Forniscono
supporto e sono un contesto che consente l’espressione e il contenimento delle
emozioni forti (funerale, compleanno,..)
Sono azioni simboliche usate per vari scopi:
-dare significato a eventi celebrativi
-segnano i momenti di transizione della vita di ciascuno
-segnano l’ appartenenza in un gruppo/comunità
-definiscono o ridefiniscono l’ dentità
-aiutano a fare i conti con la perdita e con il lutto.
I rituali sono dei mezzi per connettere il passato al presente o
il presente al futuro.
Le famiglie adottive hanno spesso pochi rituali in relazione alle
tematiche adottive.
Le aree nelle quali i rituali possono essere utili all’ adozione
sono:
-passaggio del bambino dalla famiglia di origine alla famiglia
adottiva o dalla famiglia affidataria alla famiglia
adottiva
-celebrazione dell’ adozione
-rituali di appartenenza alla famiglia
-senso di connessione del bambino alla famiglia biologica e al
contesto di nascita
-riconoscimento della famiglia biologica e di altre figure
significative del passato
-identità
-perdita e lutto
· Strategie narrative
Riguardano il racconto della storia o esercizi di scrittura che
permettono all’ individuo di esplorare ricordi, credenze, attese, speranze,
preoccupazioni,..relative alla propria vita passata, presente e futura. Con gli
adolescenti o gli adulti si può usare un diario o delle lettere. Ad es. si può
scrivere una lettera immaginandosi che sia la madre biologica a scrivere e poi
in seguito le si può rispondere. E così via.
Aiutano a dare significato alle esperienze, sviluppano una maggiore
coerenza interna e aiutano a rielaborare traumi e perdite passati.
· Ricerca come intervento
La ricerca deve essere basata sui bisogni del ragazzo e non dei
genitori. E’ molto importante che sia solo un suo beneficio .
Non è mai una soluzione alla risoluzione di
un problema. Trovando i genitori biologici non si risolvono le situazioni di
difficoltà.
La ricerca si fa quando in famiglia c’è pace, stabilità ed empatia
per supportare al meglio il figlio.
Bisogna chiedergli quali sono le sue attese e pianificare con lui
le diverse situazioni che si potrebbero presentare.
Vi sono delle volte che non è positivo ritrovare i genitori. Ma quello che sicuramente è prezioso è che sia uno dei modi migliori per aiutare il ragazzo a capire e conoscere le proprie origini.
6. Anne Braff Brodzinsky, C' era una volta un albero di gelso, ed. San Paolo (2012)
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