La paura dell'abbandono riemerge in alcune fasi della vita: legami sentimentali e non solo https://www.spazioadozione.org/calendario/la-paura-dell-abbandono
Sapere cosa può succedere quando i nostri figli diventano adulti ci permette di attrezzarci per tempo, riducendo il rischio di essere ostaggi della nostra (e loro) emotività. E’ utile, come suggerisce la dott.ssa Botta, fare una mappa dei comportamenti ricorrenti, per evitare di reagire in modo scomposto ed esacerbare le tensioni. Quando loro stanno male, stiamo male anche noi e, come prima cosa, abbiamo bisogno di calmarci, di incominciare a riflettere e lavorare per capire, così da evitare pesanti ricadute sulla tenuta del legame. Ecco l’importanza di un aiuto esterno alla famiglia, di altri genitori e/o di specialisti in adozione.
Noi e i nostri figli abbiamo
bisogno di elaborare lo tsunami di
emozioni che può rischiare di travolgerci. Quando dobbiamo fare i conti con le
nostre fragilità (senso d’impotenza, ansie, paure, ecc.) abbiamo bisogno di
tutta la nostra forza.
Primo consiglio: non rompere mai il legame!
“ Quando parliamo di condizione adottiva
adulta non parliamo - ovviamente - di una condizione univoca.
Tanti soggetti che sono stati adottati procedono
abbastanza bene nell’età adulta: sono capaci di instaurare e mantenere
relazioni intime, familiari, amicali soddisfacenti, di sentirsi
sufficientemente gratificati dalle esperienze lavorative, soprattutto di venire
a patti con le inevitabili difficoltà e frustrazioni che la vita adulta
comporta. Come tanti altri adulti, possono ricercare un aiuto psicologico per
difficoltà e problematiche che non compromettono in modo significativo il loro
equilibrio personale (tipicamente, questioni legate alla conoscenza delle
origini, difficoltà a superare lutti e perdite).
Pochi altri adottati adulti hanno sofferto
traumi talmente gravi nell’infanzia da non essere in grado di condurre una vita
adulta autonoma e da richiedere una presa in carico psichiatrica e/o
l’inserimento in una residenzialità protetta.
Ma c’è anche una grande area intermedia di
soggetti che, pur in grado di condurre una vita personale più o meno autonoma,
incontrano difficoltà non indifferenti nelle aree delle relazioni e del lavoro:
problemi a concludere un percorso di studi, a mantenere un’occupazione e a
tollerare frustrazioni e difficoltà in ambito lavorativo; tendenza a instaurare
relazioni sentimentali “sbagliate” e difficoltà a interromperle; problemi nelle
relazioni sentimentali o amicali, vissute con scarsa responsabilità,
comportamenti possessivi, iperdipendenti, conflittuali, imprevedibili;
prolungata dipendenza dalla famiglia; serie difficoltà a gestire separazioni e
lutti. In casi più seri, persistenti disturbi della personalità possono
tradursi in comportamenti irregolari, provocatori e violenti, in abuso di
sostanze o di alcol, in agiti delinquenziali.
La mia esperienza clinica con giovani adulti
adottati suggerisce che per quest'ultimo gruppo di soggetti ci sono molte
possibilità di miglioramento: in alcuni casi si possono raggiungere cambiamenti
significativi; nelle situazioni più serie ci si deve spesso limitare a piccoli
progressi, non sempre risolutivi delle problematiche di fondo ma comunque utili
a diminuire il malessere dei vari membri della famiglia e a consentire che le
criticità ancora presenti non compromettano troppo la vita e le relazioni”. Con l’ingresso nell’età adulta, è
ovviamente l’adottato stesso a dover diventare responsabile e artefice del
proprio cambiamento (una psicoterapia “informata sull’adozione” ne è la via
regia, ma anche i gruppi di auto-aiuto possono fare molto). Ma un aiuto
significativo possono darlo anche i genitori - soprattutto nelle situazioni più
critiche – se riescono a superare le inevitabili sensazioni di sfiducia,
impotenza, colpevolizzazione, a valorizzare quanto c’è di positivo nei
comportamenti del figlio, a comprendere lo stato mentale sottostante ai suoi
agiti, a trovare strategie comportamentali diverse dall’iperprotezione, dalla
collusione o dal rifiuto. Sono comportamenti utili nei confronti dei figli
adulti, ma ancor più produttivi se messi in atto precocemente”. (“La condizione
adottiva adulta. Proposta di un gruppo di riflessione e approfondimento”,
post del 26 gennaio 2020 https://www.liviabotta.it/blog):
Mappa
1. difficoltà non indifferenti
nelle aree delle relazioni e del lavoro: problemi a concludere un percorso di
studi, a mantenere un’occupazione e a tollerare frustrazioni e difficoltà in
ambito lavorativo;
2. tendenza a instaurare
relazioni sentimentali “sbagliate” e difficoltà a interromperle;
3. problemi nelle relazioni
sentimentali o amicali, vissute con scarsa responsabilità, comportamenti
possessivi, iperdipendenti, conflittuali, imprevedibili;
4. prolungata dipendenza dalla
famiglia;
5. serie difficoltà a gestire
separazioni e lutti.
6. in casi più seri, persistenti
disturbi della personalità possono tradursi in comportamenti irregolari,
provocatori e violenti, in abuso di sostanze o di alcol, in agiti
delinquenziali.
Cosa cercano in una relazione sbagliata?
Cercano un legame che li faccia stare meglio, spesso un compagno/a da
aiutare.
Loro, per primi, avrebbero bisogno di essere aiutati, ma questo pensiero mal si concilia con la convinzione di saper badare a loro stessi (“io non ho bisogno di nessuno”, “me la sono sempre cavata da solo/a”). Aiutando chi sta peggio di loro o che ha bisogno, curano la loro parte fragile (anche l’avvicinamento agli animali è un modo di prendersi cura della loro parte ferita). Più l’altro è mal messo, più loro sembrano stare bene, stabilizzarsi.
Loro, per primi, avrebbero bisogno di essere aiutati, ma questo pensiero mal si concilia con la convinzione di saper badare a loro stessi (“io non ho bisogno di nessuno”, “me la sono sempre cavata da solo/a”). Aiutando chi sta peggio di loro o che ha bisogno, curano la loro parte fragile (anche l’avvicinamento agli animali è un modo di prendersi cura della loro parte ferita). Più l’altro è mal messo, più loro sembrano stare bene, stabilizzarsi.
La scelta di un partner “sbagliato” mette a dura prova soprattutto le
mamme, che guardano, impotenti, le figlie improvvisamente in balia di un legame
esclusivo e totalizzante, fondato sul controllo e la dipendenza dal compagno di
turno. Questa predilezione per le relazioni “malate” sembra condizionare anche la
scelta delle amicizie, totalizzanti ed esclusive e poi improvvisamente
interrotte e dimenticate A rendere oltremodo difficoltosa la tenuta della
relazione può contribuire un comportamento ambivalente: “oggi sono così, domani
sono cosà”, una specie di sdoppiamento della personalità. Nei casi più gravi si registrano dei veri e propri disturbi della
personalità, dovuti ad uso di sostanze, dipendenze e presenza di una forte
aggressività. Questi comportamenti (indipendentemente dal sesso dei figli)
trovano una loro logica se letti come espressione del trauma da separazione da
figure di riferimento: l’ abbandono della madre e la conseguente perdita del
senso di sé (in alcuni casi si assiste addirittura al rifiuto di ogni forma di
relazione).
Anche l’appartenenza ad una gang è un modo per ritrovare il passato, in particolare da parte dei bambini che hanno vissuto una situazione di abbandono per la strada. Non dobbiamo dimenticare che l’adozione ha costretto i nostri figli a un salto sociale enorme. Spesso le relazioni adottive più riuscite sono quelle che riguardano i ceti meno abbienti, dove non è presente il senso d’inadeguatezza, il non essere all'altezza, il non sentirsi accolti, il non essere al posto giusto.
Anche l’appartenenza ad una gang è un modo per ritrovare il passato, in particolare da parte dei bambini che hanno vissuto una situazione di abbandono per la strada. Non dobbiamo dimenticare che l’adozione ha costretto i nostri figli a un salto sociale enorme. Spesso le relazioni adottive più riuscite sono quelle che riguardano i ceti meno abbienti, dove non è presente il senso d’inadeguatezza, il non essere all'altezza, il non sentirsi accolti, il non essere al posto giusto.
Il ruolo dei genitori
Noi genitori
dobbiamo lasciare da parte il desiderio del figlio/a ideale e imparare a fare i conti col figlio/a che c’è, le sue inclinazioni,
i suoi interessi!
Spesso pensiamo di poter aiutare
i nostri figli, ad esempio a scuola, ritenendo il nostro intervento
indispensabile alla loro riuscita. Attenzione: non sempre siamo in grado di dosare
il nostro aiuto. Per loro siamo troppo “ingombranti”, troppo bravi. Ecco allora
l’utilità di altre figure educative; un amico più grande, ad esempio, può fare
molto e diventare un modello da seguire. I genitori possono essere troppo “pesanti”
e avere difficoltà a dosare il loro troppo amore. I figli vogliono collaborazione:
l’aiuto di un accompagnatore (di un facilitatore) non il giudizio di un genitore,
spesso iperprotettivo e sopraffatto dall’ansia di non capire come mai il proprio
figlio faccia di tutto per auto-boicottarsi. Questo comportamento è legato non
solo alla bassa autostima ma anche alle costanti interruzioni, separazioni,
cesure che ha vissuto nella vita preadottiva. Accettare il nostro aiuto lo fa
sentire debole; meglio incoraggiarlo dicendo “ma prova”, “vedi se funziona”. In
altre parole accompagnarlo nel cammino senza avere già in tasca la soluzione.
L’ambiguità del nostro aiuto sta nel fatto che, se noi ci siamo sempre, lo confermiamo
nella convinzione di non essere in grado di farcela da solo. Dobbiamo lavorare,
invece, per accrescere l’ autonomia e il senso di responsabilità.
Arriva poi
il momento di prendere le distanze. Non possiamo essere onnipresenti. Abbiamo
lavorato per anni (l’adolescenza arriva tardi e dura anni) per risarcirli dal danno
subito. Ora basta: non possiamo andare avanti per tutta la vita! Dobbiamo
imparare, come genitori, a prenderci i nostri rischi; ad accettare che i nostri
figli possano commettere degli errori e lasciarli liberi di sbagliare. Non
dobbiamo rimanere schiavi della paura di quello che potrebbe succedere! E’
importante credere nelle loro capacità e talenti e fare il tifo per la loro
riuscita. Quando la paura porta al controllo è negativa, non ha valore
evolutivo; invece, se controllo, cioè seguo mio figlio affinché faccia quello
che deve fare perché ha talento e deve metterlo a frutto, allora va bene.
Uscire di casa
Divenuti grandi, alcuni hanno
difficoltà a rendersi autonomi, a sganciarsi dalla protezione della famiglia; altri,
al contrario, rivendicano ad alta voce il diritto di fare da soli e, se trovano
ostacoli, se ne vanno sbattendo la porta. Un comportamento non esclude l’altro:
è possibile che dopo una fuga si assista al rientro in famiglia, seguito da un
difficile percorso verso una reale autonomia. Le risorse le hanno ma non sempre le
usano, a volte fa comodo non usarle e dipendere dagli altri.
Se, invece, il figlio vuole andare e se la sente bisogna lasciarlo fare,
lui deve sapere che avrà sempre la possibilità di tornare indietro.
L’allontanamento da casa non è un nostro fallimento, al contrario! L'adottato,
libero di progettare la propria vita, riesce più facilmente a mettere
insieme tutti i tasselli del proprio vissuto: ricostruendo la propria storia ne
diventa il padrone. Quando un adottato adulto riesce a fare i conti con l'abbandono,
vuol dire che nella famiglia adottiva c'è stata coerenza, costanza, affettuoso
accudimento sviluppato su tanti anni. Allora è stata acquisita la sicurezza
necessaria per allontanarsi da casa. L'adottato che riesce a costruirsi una
storia, a volte, non vuole neanche più cercare le origini: sta bene così.
A questo punto il nostro compito è di riprendere in mano la nostra vita,
ritrovare l’indipendenza come coppia, seguire da lontano i nostri figli e, se
richiesto, incoraggiarli a perseguire i loro obiettivi. Mantenere le
distanze: “Veditela tu se sbagli” e non accettare alcuna forma di legame
ricattatorio.
In alcuni casi, purtroppo, non ci si riesce. Occorre avere ancora pazienza.
Ci sono figli che avrebbero bisogno di uscire da casa per imparare, un po’ alla
volta, a diventare autonomi ma non sono riusciti a portare a termine gli studi;
non lavorano; svolgono mansioni mal retribuite. Capita anche, e non sono casi
isolati, che i nostri figli, non ancora indipendenti, diventino a loro volta
genitori e abbiano bisogno, ancora per un po’, del nostro aiuto. E infine, ma
non certo ultimi, ci sono i nostri figli più feriti, quelli sempre presenti nei
nostri pensieri e amati da lontano, che lottano all’interno di strutture di
contenimento (carceri, centri chiusi, comunità, ecc.) e che, per anni, sono
stati privati di un sostegno specialistico e tempestivo in adozione (vedi https://www.spazioadozione.org/la-solitudine-dei-genitori.)
Devianze
Gli adulti non si possono
costringere. Però quando si entra nel penale, sì. L’esperienza del carcere è
sufficiente a farli cambiare? Il carcere non risolve il problema, però li aiuta
a calmarsi. E’ un contenitore dove le relazioni sono meno impegnative. Hanno
meno doveri emotivi. Le regole del gregge sono poche e funzionano.
I genitori non devono avere cedimenti: devono mantenere una posizione chiara che non
lasci spazio a giustificazioni o collusioni ma non devono in alcun modo rompere
il legame. Il cammino sarà lungo e faticoso. La paura non paga, la pazienza e
la nostra presenza sì, perché aprono la via alla riconoscenza. I nostri figli
sono più forti di quello che noi pensiamo.
L’importanza dell’elaborazione
Attraverso l’elaborazione della propria storia adottiva i nostri figli
riescono a fare i conti con il loro passato. Il passato non è rimosso ma
riconosciuto, ascoltato, integrato con il presente. Anche la rabbia acquista un
senso e una legittimità e diventa controllabile, come la tristezza, l'ansia, la
depressione. Acquisendo la consapevolezza di non essere responsabili di quanto
è loro successo, superano il senso di colpa e di vergogna e la sensazione di
non essere degni d’amore. Ora sono responsabili del loro presente e del
loro futuro. Sono pronti a vivere in modo sano i legami con i genitori adottivi,
gli amici, i partner, i datori di lavoro, ecc.
L’elaborazione è una componente essenziale anche del cammino dei genitori. Riflettendo
sul nostro senso di colpa e d’impotenza, superando la paura del domani potremo
entrare in una fase di nuova progettualità. Ritrovare il piacere del tempo per
noi, “provare piacere a vivere senza sentirsi indispensabili per un’altra
persona fragile e dipendente”. (Livia Botta, Genitori adottivi per sempre?,post 23 maggio 2029 https://www.liviabotta.it/post/genitori-per-sempre)
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