giovedì 9 aprile 2020

"La paura dell'abbandono..." Incontro con la dott.ssa Livia Botta (14.01.2020)



La paura dell'abbandono riemerge in alcune fasi della vita: legami sentimentali e non solo https://www.spazioadozione.org/calendario/la-paura-dell-abbandono


Sapere cosa può succedere quando i nostri figli diventano adulti ci permette di attrezzarci per tempo, riducendo il rischio di essere ostaggi della nostra (e loro) emotività. E’ utile, come suggerisce la dott.ssa Botta, fare una mappa dei comportamenti ricorrenti, per evitare di reagire in modo scomposto ed esacerbare le tensioni. Quando loro stanno male, stiamo male anche noi e, come prima cosa, abbiamo bisogno di calmarci, di incominciare a riflettere e lavorare per capire, così da evitare pesanti ricadute sulla tenuta del legame. Ecco l’importanza di un aiuto esterno alla famiglia, di altri genitori e/o di specialisti in adozione.

Noi e i nostri figli abbiamo bisogno di elaborare lo tsunami di emozioni che può rischiare di travolgerci. Quando dobbiamo fare i conti con le nostre fragilità (senso d’impotenza, ansie, paure, ecc.) abbiamo bisogno di tutta la nostra forza.

Primo consiglio: non rompere mai il legame!

“ Quando parliamo di condizione adottiva adulta non parliamo - ovviamente - di una condizione univoca.
Tanti soggetti che sono stati adottati procedono abbastanza bene nell’età adulta: sono capaci di instaurare e mantenere relazioni intime, familiari, amicali soddisfacenti, di sentirsi sufficientemente gratificati dalle esperienze lavorative, soprattutto di venire a patti con le inevitabili difficoltà e frustrazioni che la vita adulta comporta. Come tanti altri adulti, possono ricercare un aiuto psicologico per difficoltà e problematiche che non compromettono in modo significativo il loro equilibrio personale (tipicamente, questioni legate alla conoscenza delle origini, difficoltà a superare lutti e perdite).
Pochi altri adottati adulti hanno sofferto traumi talmente gravi nell’infanzia da non essere in grado di condurre una vita adulta autonoma e da richiedere una presa in carico psichiatrica e/o l’inserimento in una residenzialità protetta.
Ma c’è anche una grande area intermedia di soggetti che, pur in grado di condurre una vita personale più o meno autonoma, incontrano difficoltà non indifferenti nelle aree delle relazioni e del lavoro: problemi a concludere un percorso di studi, a mantenere un’occupazione e a tollerare frustrazioni e difficoltà in ambito lavorativo; tendenza a instaurare relazioni sentimentali “sbagliate” e difficoltà a interromperle; problemi nelle relazioni sentimentali o amicali, vissute con scarsa responsabilità, comportamenti possessivi, iperdipendenti, conflittuali, imprevedibili; prolungata dipendenza dalla famiglia; serie difficoltà a gestire separazioni e lutti. In casi più seri, persistenti disturbi della personalità possono tradursi in comportamenti irregolari, provocatori e violenti, in abuso di sostanze o di alcol, in agiti delinquenziali.
La mia esperienza clinica con giovani adulti adottati suggerisce che per quest'ultimo gruppo di soggetti ci sono molte possibilità di miglioramento: in alcuni casi si possono raggiungere cambiamenti significativi; nelle situazioni più serie ci si deve spesso limitare a piccoli progressi, non sempre risolutivi delle problematiche di fondo ma comunque utili a diminuire il malessere dei vari membri della famiglia e a consentire che le criticità ancora presenti non compromettano troppo la vita e le relazioni”. Con l’ingresso nell’età adulta, è ovviamente l’adottato stesso a dover diventare responsabile e artefice del proprio cambiamento (una psicoterapia “informata sull’adozione” ne è la via regia, ma anche i gruppi di auto-aiuto possono fare molto). Ma un aiuto significativo possono darlo anche i genitori - soprattutto nelle situazioni più critiche – se riescono a superare le inevitabili sensazioni di sfiducia, impotenza, colpevolizzazione, a valorizzare quanto c’è di positivo nei comportamenti del figlio, a comprendere lo stato mentale sottostante ai suoi agiti, a trovare strategie comportamentali diverse dall’iperprotezione, dalla collusione o dal rifiuto. Sono comportamenti utili nei confronti dei figli adulti, ma ancor più produttivi se messi in atto precocemente”. (“La condizione adottiva adulta. Proposta di un gruppo di riflessione e approfondimento”, post del 26 gennaio 2020 https://www.liviabotta.it/blog):

Mappa

1.    difficoltà non indifferenti nelle aree delle relazioni e del lavoro: problemi a concludere un percorso di studi, a mantenere un’occupazione e a tollerare frustrazioni e difficoltà in ambito lavorativo;

2.    tendenza a instaurare relazioni sentimentali “sbagliate” e difficoltà a interromperle;

3.    problemi nelle relazioni sentimentali o amicali, vissute con scarsa responsabilità, comportamenti possessivi, iperdipendenti, conflittuali, imprevedibili;

4.    prolungata dipendenza dalla famiglia;

5.    serie difficoltà a gestire separazioni e lutti.

6.    in casi più seri, persistenti disturbi della personalità possono tradursi in comportamenti irregolari, provocatori e violenti, in abuso di sostanze o di alcol, in agiti delinquenziali.

Cosa cercano in una relazione sbagliata?
Cercano un legame che li faccia stare meglio, spesso un compagno/a da aiutare.
Loro, per primi, avrebbero bisogno di essere aiutati, ma questo pensiero mal si concilia con la convinzione di saper badare a loro stessi (“io non ho bisogno di nessuno”, “me la sono sempre cavata da solo/a”). Aiutando chi sta peggio di loro o che ha bisogno, curano la loro parte fragile (anche l’avvicinamento agli animali è un modo di prendersi cura della loro parte ferita). Più l’altro è mal messo, più loro sembrano stare bene, stabilizzarsi.
La scelta di un partner “sbagliato” mette a dura prova soprattutto le mamme, che guardano, impotenti, le figlie improvvisamente in balia di un legame esclusivo e totalizzante, fondato sul controllo e la dipendenza dal compagno di turno. Questa predilezione per le relazioni “malate” sembra condizionare anche la scelta delle amicizie, totalizzanti ed esclusive e poi improvvisamente interrotte e dimenticate A rendere oltremodo difficoltosa la tenuta della relazione può contribuire un comportamento ambivalente: “oggi sono così, domani sono cosà”, una specie di sdoppiamento della personalità. Nei casi più gravi si registrano dei veri e propri disturbi della personalità, dovuti ad uso di sostanze, dipendenze e presenza di una forte aggressività. Questi comportamenti (indipendentemente dal sesso dei figli) trovano una loro logica se letti come espressione del trauma da separazione da figure di riferimento: l’ abbandono della madre e la conseguente perdita del senso di sé (in alcuni casi si assiste addirittura al rifiuto di ogni forma di relazione).
Anche l’appartenenza ad una gang è un modo per ritrovare il passato, in particolare da parte dei bambini che hanno vissuto una situazione di abbandono per la strada. Non dobbiamo dimenticare che l’adozione ha costretto i nostri figli a un salto sociale enorme. Spesso le relazioni adottive più riuscite sono quelle che riguardano i ceti meno abbienti, dove non è presente il senso d’inadeguatezza, il non essere all'altezza, il non sentirsi accolti, il non essere al posto giusto.

Il ruolo dei genitori
Noi genitori dobbiamo lasciare da parte il desiderio del figlio/a ideale e imparare a fare i conti col figlio/a che c’è, le sue inclinazioni, i suoi interessi!
Spesso pensiamo di poter aiutare i nostri figli, ad esempio a scuola, ritenendo il nostro intervento indispensabile alla loro  riuscita.  Attenzione: non sempre siamo in grado di dosare il nostro aiuto. Per loro siamo troppo “ingombranti”, troppo bravi. Ecco allora l’utilità di altre figure educative; un amico più grande, ad esempio, può fare molto e diventare un modello da seguire. I genitori possono essere troppo “pesanti” e avere difficoltà a dosare il loro troppo amore. I figli vogliono collaborazione: l’aiuto di un accompagnatore (di un facilitatore) non il giudizio di un genitore, spesso iperprotettivo e sopraffatto dall’ansia di non capire come mai il proprio figlio faccia di tutto per auto-boicottarsi. Questo comportamento è legato non solo alla bassa autostima ma anche alle costanti interruzioni, separazioni, cesure che ha vissuto nella vita preadottiva. Accettare il nostro aiuto lo fa sentire debole; meglio incoraggiarlo dicendo “ma prova”, “vedi se funziona”. In altre parole accompagnarlo nel cammino senza avere già in tasca la soluzione. L’ambiguità del nostro aiuto sta nel fatto che, se noi ci siamo sempre, lo confermiamo nella convinzione di non essere in grado di farcela da solo. Dobbiamo lavorare, invece, per accrescere l’ autonomia e il senso di responsabilità.

Arriva poi il momento di prendere le distanze. Non possiamo essere onnipresenti. Abbiamo lavorato per anni (l’adolescenza arriva tardi e dura anni) per risarcirli dal danno subito. Ora basta: non possiamo andare avanti per tutta la vita! Dobbiamo imparare, come genitori, a prenderci i nostri rischi; ad accettare che i nostri figli possano commettere degli errori e lasciarli liberi di sbagliare. Non dobbiamo rimanere schiavi della paura di quello che potrebbe succedere! E’ importante credere nelle loro capacità e talenti e fare il tifo per la loro riuscita. Quando la paura porta al controllo è negativa, non ha valore evolutivo; invece, se controllo, cioè seguo mio figlio affinché faccia quello che deve fare perché ha talento e deve metterlo a frutto, allora va bene.

Uscire di casa

Divenuti grandi, alcuni hanno difficoltà a rendersi autonomi, a sganciarsi dalla protezione della famiglia; altri, al contrario, rivendicano ad alta voce il diritto di fare da soli e, se trovano ostacoli, se ne vanno sbattendo la porta. Un comportamento non esclude l’altro: è possibile che dopo una fuga si assista al rientro in famiglia, seguito da un difficile percorso verso una reale autonomia. Le risorse le hanno ma non sempre le usano, a volte fa comodo non usarle e dipendere dagli altri.

Se, invece, il figlio vuole andare e se la sente bisogna lasciarlo fare, lui deve sapere che avrà sempre la possibilità di tornare indietro. L’allontanamento da casa non è un nostro fallimento, al contrario! L'adottato, libero di progettare la propria vita, riesce più facilmente a mettere insieme tutti i tasselli del proprio vissuto: ricostruendo la propria storia ne diventa il padrone. Quando un adottato adulto riesce a fare i conti con l'abbandono, vuol dire che nella famiglia adottiva c'è stata coerenza, costanza, affettuoso accudimento sviluppato su tanti anni. Allora è stata acquisita la sicurezza necessaria per allontanarsi da casa. L'adottato che riesce a costruirsi una storia, a volte, non vuole neanche più cercare le origini: sta bene così.

A questo punto il nostro compito è di riprendere in mano la nostra vita, ritrovare l’indipendenza come coppia, seguire da lontano i nostri figli e, se richiesto, incoraggiarli a perseguire i loro obiettivi. Mantenere le distanze: “Veditela tu se sbagli” e non accettare alcuna forma di legame ricattatorio.
In alcuni casi, purtroppo, non ci si riesce. Occorre avere ancora pazienza. Ci sono figli che avrebbero bisogno di uscire da casa per imparare, un po’ alla volta, a diventare autonomi ma non sono riusciti a portare a termine gli studi; non lavorano; svolgono mansioni mal retribuite. Capita anche, e non sono casi isolati, che i nostri figli, non ancora indipendenti, diventino a loro volta genitori e abbiano bisogno, ancora per un po’, del nostro aiuto. E infine, ma non certo ultimi, ci sono i nostri figli più feriti, quelli sempre presenti nei nostri pensieri e amati da lontano, che lottano all’interno di strutture di contenimento (carceri, centri chiusi, comunità, ecc.) e che, per anni, sono stati privati di un sostegno specialistico e tempestivo in adozione (vedi https://www.spazioadozione.org/la-solitudine-dei-genitori.)


Devianze

Gli adulti non si possono costringere. Però quando si entra nel penale, sì. L’esperienza del carcere è sufficiente a farli cambiare? Il carcere non risolve il problema, però li aiuta a calmarsi. E’ un contenitore dove le relazioni sono meno impegnative. Hanno meno doveri emotivi. Le regole del gregge sono poche e funzionano. I genitori non devono avere cedimenti: devono mantenere una posizione chiara che non lasci spazio a giustificazioni o collusioni ma non devono in alcun modo rompere il legame. Il cammino sarà lungo e faticoso. La paura non paga, la pazienza e la nostra presenza sì, perché aprono la via alla riconoscenza. I nostri figli sono più forti di quello che noi pensiamo.


L’importanza dell’elaborazione

Attraverso l’elaborazione della propria storia adottiva i nostri figli riescono a fare i conti con il loro passato. Il passato non è rimosso ma riconosciuto, ascoltato, integrato con il presente. Anche la rabbia acquista un senso e una legittimità e diventa controllabile, come la tristezza, l'ansia, la depressione. Acquisendo la consapevolezza di non essere responsabili di quanto è loro successo, superano il senso di colpa e di vergogna e la sensazione di non essere degni d’amore. Ora sono responsabili del loro presente e del loro futuro. Sono pronti a vivere in modo sano i legami con i genitori adottivi, gli amici, i partner, i datori di lavoro, ecc.

L’elaborazione è una componente essenziale anche del cammino dei genitori. Riflettendo sul nostro senso di colpa e d’impotenza, superando la paura del domani potremo entrare in una fase di nuova progettualità. Ritrovare il piacere del tempo per noi, “provare piacere a vivere senza sentirsi indispensabili per un’altra persona fragile e dipendente”. (Livia Botta, Genitori adottivi per sempre?,post 23 maggio 2029 https://www.liviabotta.it/post/genitori-per-sempre)

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